L’ipnotista: recensione film

LASSE HALSTROM TORNA IN SVEZIA PER GIRARE UN THRILLER ATIPICO, A TRATTI AVVINCENTE 

GENERE: Thriller

USCITA: 11 aprile 2013

Lasse Hallström, regista di commedie romantiche (Il pescatore di sogni) e di drammoni strappalacrime (Hachiko) ha dato una svolta alla sua carriera con il thriller ispirato all’omonimo bestseller di Lars Kepler, L’ipnotista. Per farlo, abituato a lavorare con star del calibro di Johnny Depp, Richard Gere e Charlize Theron ha deciso di tornare nella propria terra, la Svezia, in cui non lavora da più di 20 anni. Il risultato è infatti tra i più ispirati del regista, anche se pecca per una certa ingenuità.

Joona Linna è un detective della polizia criminale di Stoccolma che indaga sul massacro di una famiglia a cui è sopravvissuto miracolosamente solo il giovane Josef, ora in coma. Linna dovrà ricorrere all’aiuto dell’ipnotista Erik, l’unico che forse può parlare al solo testimone attraverso le sue tecniche non facilmente spiegabili. La faccenda si fa però complicata quando a Erik rapiscono il figlio. L’ipnotista insieme al poliziotto dovrà ricorrere alle proprie capacità investigative, prima che sia troppo tardi per il bambino emofiliaco, a cui ogni settimana va’ somministrata una siringa…

L’ipnotista è un’opera cinematografica a tutto tondo che poggia su un buon cast e un’ottima messinscena che sa ben sfruttare l’algidità di Stoccolma e dei suoi edifici, sempre tra il bianco e l’azzurro, permettendo a Hallström di trovare delle soluzioni cromatiche niente male. L’idea di mischiare il thriller a tinte fosche (non mancano scene particolarmente cruente) con il dramma familiare però non sempre convince: talvolta alcuni dialoghi sulle situazioni coniugali dei protagonisti sembrano essere fin troppo didascaliche e tolgono un po’ il respiro a un thriller che con qualche sforbiciata qua e là poteva uscirne come una perla del genere. Al momento stesso risulta chiaro con l’avanzare dei minuti come la famiglia sia il vero tema del film, visti certi conflitti all’interno di essa che talvolta possono portare alcuni personaggi sulla via della perdizione…

I momenti mozzafiato ad ogni modo non mancano e soprattutto nel finale c’è n’è abbastanza per portare il film di Hallstrom a una sufficienza piena e a farci ricordare che il regista oltre a drammi sentimentali superficiali è capace di adattarsi anche ad altri generi con una mano più solida e decisa.  

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