Miele: intervista alla neo regista valeria golino

L’OPERA PRIMA DELL’ATTRICE AFFRONTA IL DELICATO E CORAGGIOSO TEMA DEL SUICIDIO ASSISTITO: “IN ITALIA CERTI TEMI SONO PROBLEMATICI SOLO PER LE ISTITUZIONI E LA POLITICA”

Valeria Golino per la sua prima volta dietro la macchina da presa sceglie un film dalla tematica molto coraggiosa, specie in un paese come il nostro dove l’idea del suicidio assistito apre sempre forti dibattiti.

Prodotto dal compagno della neo cineasta, Riccardo Scamarcio, Miele uscirà in Italia il primo maggio ma già punta ad essere un lungometraggio internazionale con l’anteprima nella sezione Un certain regard al prossimo festival di Cannes.

Valeria, da dove parte l’idea di fare un film del genere?



Sicuramente dalla lettura del libro da cui è ispirato. Lessi A nome tuo di Mauro Covacich tre anni fa e pensai si trattasse di un libro fulminante, doloroso, anche provocatorio sotto certi punti di vista. Mi interessava molto anche questo personaggio femminile inedito. Decisi così di far leggere il libro ai miei soci e di acquistarne i diritti. La storia ci piaceva ma eravamo un po’ tutti spaventati dall’idea di farne un film. In fase di sceneggiatura abbiamo fatto alcune modifiche rispetto al libro, come a esempio il finale, altre cose invece sono rimaste le stesse.


Come ha resistito alla tentazione di dirigerti? Nel cinema italiano quasi sempre l’attore che passa dietro la macchina da presa finisce con il recitare nei suoi film. 



Che io potessi recitare nel film fu un’idea iniziale, quasi subito accantonata. Io volevo che il mio personaggio avesse l’età di Jasmine Trinca, che fosse all’incirca una 28-30enne e non una donna completamente matura. Volevo poi che il mio film fosse libero dalla mia presenza recitativa e lo stesso è avvenuto con Riccardo che avrebbe potuto interpretare alcuni ruoli maschili presenti nel film ma che alla fine ha preferito mantenere la sua posizione di produttore.


Oltre alla lettura del libro quale altro elemento la ha spinta a raccontare questa storia?



Mi sembravano interessanti storia e personaggi. Mentre scrivevamo la sceneggiatura aumentava gradualmente il mio interessi per queste persone. Sapevamo che l’argomento era tabù, ma io ho sempre pensato che certi temi fossero in Italia soprattutto problematici per le istituzioni e per la politica, mentre tra gli italiani e la gente comune c’è una apertura maggiore, una varietà di posizioni molto più ricca. Volevo del resto fare un film che ponesse delle domande senza prendere posizioni.


Nel film le scene delle morti sono piuttosto lunghe, quasi insistenti... 



In realtà non si vede mai un personaggio morire. La morte non la filo. Volevo che si percepisse tutta la tensione della preparazione alla morte, in modo faticoso e anche estenuante. Volevo che il mio film da un punto di vista formale fosse libero e allo stesso tempo senza troppi fronzoli, ma carico di rotture, incidenti di luce, piccoli spostamenti. Temevo ci fosse una eccessiva tendenza all’estetizzazione. Temevo molte trappole in questo film, per quanta riguardava il contenuto ma anche l’aspetto formale.

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