PIACEVOLE INCONTRO CON UN GRANDE REGISTA CHE STUPISCE PER LA SUA SEMPLICITÀ
Arriva a Roma Abbas Kiarostami, regista iraniano dalle immense qualità, riconosciuto autore da Godard il quale, in una fase storica, ha affermato che il cinema inizia con David Wark Griffith e finisce con Kiarostami. Kiarostami si ferma dunque a Roma per presentare il suo ultimo lavoro, già protagonista dello scorso Festival di Cannes, Qualcuno da amare, in programma nelle sale italiane dal 24 aprile.
Ambientato in Giappone il film è la storia di una ragazza che incontra un anziano professore, una storia universale che potrebbe svolgersi ovunque anche se Tokyo, sembra proprio la location perfetta. Autore sperimentalista, Kiarostami ha incontrato la stampa a Roma alla Casa del Cinema di Villa Borghese.
Perché la scelta di ambientare il film in Giappone?
Abbas Kiarostami: Molte volte mi hanno posto questa domanda e ho sempre risposto che amo il Giappone e i suoi abitanti, oggi però dopo aver visto il film voglio dire che il film è qualcosa che è dappertutto e noi troviamo questa idea che appartiene a tutti. Quando siamo lontani crediamo di essere molto differenti tra di noi, ma se riflettiamo capiamo che la lontananza crea solo incomprensione.
Come mai la scelta di questo strano finale?
AK: Dunque il finale non è da definirsi strano ma piuttosto, inusuale. Quando siamo arrivati alla scena che termina il film, ho sentito che quello era il momento di finire di scrivere e porre un The End per interrompere il racconto. D’altronde qual é la storia in cui noi siamo dentro a tal punto da poter dire “questa è la fine”? Noi entriamo e usciamo dal racconto di una storia. La fine del film non è la fine della storia, essa continua.
È vero che tornerà a girare in Italia, e precisamente in Puglia?
AK: C’è una sceneggiatura già pronta, ho individuato gli attori e le location ma non so ancora se avrò le condizioni giuste per poterlo girare. Certo è che se ci riuscissi vorrei venire a girarlo in Puglia.
Da quanto vediamo, l’Iran sta attraversando un momento di vivace creatività, che cosa ne pensa?
AK: Credo che la creatività sia qualcosa che va al di la delle condizioni sociali del paese, non può essere soffocata dalla situazione politica e da nessun sistema. Nonostante le grandi difficoltà sono invece testimone di un grande fermento culturale negli ultimi anni in Iran, pieno di giovani talenti vivaci e creativi. Posso dire che la condizione sociale qualche volta addirittura può aiutare a vivacizzare la creatività.
Ci parla del percorso del film in questo ultimo anno dopo Cannes? E’ uscito in Giappone e anche in Iran?
AK: Ci sono circa 20 paesi che stanno distribuendo questo film. Il film è uscito in Giappone e ha suscitato reazioni opposte: c’è chi lo amato e chi non lo ha accettato. In Giappone molti non amano il cinema tradizionale dei maestri giapponesi che invece ha influenzato profondamente il mio film e il mio stesso cinema. Il punto è che i cineasti in Giappone oggi riproducono il cinema americano e gli stessi spettatori sono attirati dalla cultura occidentale. Paradossalmente il film è piaciuto molto negli USA dove al contrario sembra che i critici e il pubblico abbiano più interesse per il cinema d’autore, per il cinema europeo e anche quello giapponese appunto. In Europa e in Giappone invece sono più interessati al cinema hollywoodiano. Per quanto riguarda l’Iran, il film lì non è uscito, ho proposto di doppiarlo ma non è stato accettato. So che il film gira in formato video con i sottotitoli in inglese nei mercatini di Teheran.
Come ha scelto gli attori, li conosceva?
AK: Dunque, per il ruolo del professore ho fatto un casting ma tra tutti quelli visti, non me ne piaceva nessuno perché io non amo la recitazione impostata, così alla fine l’ho trovato tra le comparse. Mi ha detto: “Sono cinquant’anni che lavoro nel cinema come comparsa e non ho mai detto una parola sul set“. Non voleva accettare, così gli ho detto non doveva preoccuparsi perché c’erano pochissimi dialoghi. Alla fine mi ha ringraziato moltissimo ma ha detto che preferisce tornare a fare la comparsa. Una persona molto rigorosa e responsabile, che preferisce vivere nell’ombra: un altro motivo per cui amo il Giappone è che esistono ancora persone come lui.
Cosa le piace del cinema italiano?
AK: Il mio cinema ha le sue radici e il suo punto di partenza nel neorealismo italiano. Non elenco i grandi registi italiani che mi hanno influenzato per paura di ometterne qualcuno. Conosco l’Italia attraverso il suo cinema più che per le passeggiate nelle varie città, c’è un senso di familiarità quando sono in Italia, credo sia una cosa comune a tutti gli iraniani. Tutta la mia giovinezza è trascorsa vedendo film italiani, per quelli della mia generazione fuori dall’Iran c’era solo l’Italia.
E qual è il suo rapporto con l’Iran attualmente?
AK: Difficile da spiegare. Un rapporto complesso, complicato. Non ci capiamo, non ci comprendiamo fino in fondo. Non c’è un rapporto diretto tra me e il governo del mio paese. Cosa che comunque io accetto, non amo lamentarmi delle difficoltà del mio paese.
Com’è che si decide di ambientare così tante scene nell’abitacolo di un macchina?
AK: L’abitacolo dell’automobile è un ambiente qualunque, come una camera da letto, o una stanza qualsiasi. Ma in realtà, dove altro potremmo mettere due generazioni cosi lontane, due realtà così differenti, un anziano e una giovane che interagiscono in maniera cosi intima senza neanche guardarsi, vedersi, l’ambiente così stretto è funzionale al legame che si crea.