Cannes 66: Behind the candelabra – intervista al cast

STEVEN SODERBERGH: “NON POSSO DIRE CHE QUESTO SARÀ IL MIO ULTIMO FILM MA POSSO RITENERMI SODDISFATTO DELLA MIA CARRIERA”

In concorso a Cannes Steven Soderbergh presenta il suo ultimo lavoro incentrato sulla vita di  Liberace, Behind the Candelabra, musicista famosissimo negli anni 40’ e 50’.

La stampa ha accolto bene il lungometraggio e noi abbiamo fatto qualche domanda al cast.

Douglas, cosa l’ha convinta a calarsi nei suoi panni di Liberace?

Michael Douglas. Erano i tempi di Traffic, quando Steven mi chiese se avessi mai pensato di interpretare Liberace. Gli risposi: “cosa ho a che fare con me un personaggio così?” e pensai che fosse finita là. Qualche anno dopo, quando Steven ha trovato il libro Behind the Candelabra e Richard è stato chiamato alla sceneggiatura, è iniziata l’avventura. Ma poi c’è stato il mio cancro. Steven mi ha fatto un regalo con questo ruolo e sono davvero grato a tutti di avermi atteso.

Matt Damon ha avuto timore a interpretare personaggi così lontani dalla vostra realtà? Come sono andate le riprese?

Matt Damon. È la settima volta che lavoro con Steven e stavolta, da un punto di vista tecnologico, si è spinto più lontano di ogni altro regista che io conosca. Ha creato un sito, a cui avevamo libero accesso, per consentirci di seguire le riprese e la lavorazione del film in tempo reale. Abbiamo girato molto velocemente, in una trentina di giorni. E ogni sera, a casa, potevo riguardare quello che avevamo girato. Ed è stato molto importante, perché a dato a me e a Michael la possibilità di capire, in ogni istante, quale fosse la situazione. Girare un film, e Steven può confermarlo, come fare un grande mosaico murale, ma con il naso praticamente incollato al muro. Non sai mai dove ti trovi. Ma questo metodo ci ha consentito di seguire l’evoluzione della storia e dei personaggi passo passo.

Soderbergh, il film è prodotto dall’HBO, dalla TV. Può essere un segno della difficoltà attuale di trovare finanziamenti a Hollywood?

Steven Soderbergh. Per quattro cinque anni ci è stato detto che un film del genere non avrebbe attirato pubblico. Noi invece eravamo convinti che il pubblico, e non solo quello omosessuale, avrebbe risposto bene. Per un film di 25 milioni, bisogna immaginare un incasso di almeno 50 milioni. E un film come questo è sicuramente un rischio. Anzi, ad essere onesti, durante le riprese, non ero neanche in grado di dire che tipo di film sarebbe stato.

Soderbergh, cosa è cambiato nella percezione e nella tutela dei diritti degli omosessuali rispetto all’epoca di ambientazione del film, la fine degli anni ’70, un’epoca di passaggio?

S.S. Di certo sono stati fatti passi avanti, anche se restano dei problemi. Ma ci tengo a dire che non mi interessavano tanto le grandi questioni sociali, quanto il personaggio, la sua storia affascinante, le situazioni. Volevo fare un film che fosse al tempo stesso realistico e intimo, concentrato sulle relazioni tra i personaggi.

Sarà il suo ultimo film?

S.S. Vorrei davvero fare una pausa, non so per quanto tempo. Non posso dire se questo sarà il mio ultimo film. Di sicuro posso dire che, guardando indietro, posso ritenermi soddisfatto della mia carriera. E questo film mi riporta al primo, Sesso, bugie e videotape: due persone in una stanza, una relazione intima. C’è dunque una coerenza, ma sul piano dello stile c’è stato anche un progresso. Potrei dire che col tempo, sto sperimentando la semplicità, un’idea di realizzazione più diretta e immediata.

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