Jimmy P.: recensione film

JIMMY P., LA PSICANALISI CHE ANNOIA

jimmy p. locandinaGENERE: drammatico

DURATA: 114′

USCITA IN SALA: 20 Marzo

VOTO: 2,5 su 5

George Devereux è stato uno dei pilastri europei dell’etnopsichiatria e la sua figura è stata presa in prestito da Arnaud Desplechin per dare vita al suo nuovo lungometraggio, il primo girato in America, Jimmy P., dove il famigerato medico è interpretato da un convincente Mathieu Almarich.

Ambientato nel 1949 il vero protagonista del film è Jimmy Picard, Benicio Del Toro, il quale, tornato dalla Seconda Guerra Mondiale, comincia ad avere degli strani sintomi così che sua sorella forte del motto “la vita è una sola” decide di mandarlo al Winter Hospital di Topeka. Vittima di un trauma da guerra condito dalla mancanza della sua ex moglie Lily e da un rapporto irrisolto con la figlia i medici dell’ospedale non riescono a curare Jimmy. È qui che entra gioco Devereux: Jimmy è un indiano e chi meglio dello psichiatra esperto di etnologia può ridargli un’esistenza normale? Devereux inizia a indagare sui particolari sogni del suo paziente e piano piano tra i due nasce un rapporto di fiducia importantissimo.

Guardando la pellicola di Desplechin è impossibile non fare paragoni tra di sessa The Master e A Dangerous Method. Paragoni che, purtroppo, in entrambi i casi Jimmy P. perde senza appello. Nonostante i dialoghi serrati e le ottime interpretazioni di Del Toro e  Almarich il lungometraggio non riesce a creare atmosfere che tengano vivo un lavoro che spesso cede alla noia.

Il tema della psicanalisi in Jimmy P. paradossalmente non è centrale. Il fulcro dell’opera è il rapporto di fiducia che s’instaura tra medico e paziente come metafora del rapporto di fiducia più generale che si può instaurare tra due esseri umani qualunque e su quanto sia fondamentale ritrovare se stessi, anche appoggiandosi a un’altra persona, per poi, solo dopo, ritrovare un posto nel mondo.

La buona idea di partenza e gli ottimi dialoghi però non bastano a salvare un film, nonostante le scene che raccontano i sogni di Jimmy siano un’ottima prova di Desplechin e forse, dal punto di vista squisitamente registico la parte migliore del film. Il resto della pellicola è piatta, sempre uguale e priva di spessore narrativo tanto da scivolare addosso allo spettatore, nel migliore dei casi, o di stancarlo, in quello peggiore.

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