Solo dio perdona: pro e contro

LA REDAZIONE SI SDOPPIA E NASCE UN CONFRONTO DIVERSO SUL FILM DI REFN

Nicolas Winding Refn  ha portato in concorso al 66mo Festival di Cannes Solo Dio perdona, lungometraggio che ha come protagonista la star Ryan Gosling nei panni di Julian un uomo che gestisce un club di Thai box a Bankok e che, dopo l’omicidio del fratello, viene spronato dalla madre Crystal (Kristin Scott Thomas) alla vendetta.

Il film, che è uscito oggi in Italia, ha nettamente diviso la stampa e la nostra redazione che, come spesso accade, si è confrontata sulla pellicola.

MANTIENE INTATTO LO STILE DEL REGISTA?

SIMONE BRACCI: Sul mantenimento, non c’è dubbio. Le perplessità si legano alla prosecuzione, e quindi una sorta di naturale evoluzione artistica, del percorso di Refn all’interno dei meandri oscuri della società. Sempre più delocalizzata. Ora siamo aBankok, regno dell’hard boiled asiatico anni 80. Il recupero di chiavi di lettura già note poteva essere una carta vincente, ma la mancanza di furbizia in fase di scrittura e la noia imperante penalizzano il grande lavoro di fotografia e dettagli di inquadratura.

SANDRA MARTONE: L’errore principale che si fa nell’ambito del giudizio di Solo Dio perdona è quello di paragonarla al film precedente di Refn, Drive. Drive è un film costato almeno tre volte di quanto è venuto Solo Dio perdona ed è il film che, paradossalmente, si distanzia di più dalla cinematografia del cineasta danese. Con Solo Dio perdona Refn ritorna alla secchezza delle sue origini e come in Pusher e in Valhalla Rising crea un lavoro scomodo, totalmente disinteressato a ogni tipo di contatto con il pubblico e nello stesso tempo lucidissimo nella sua violenza e nel suo cinismo e per questo spiazzante.

A CHE TIPO DI PUBBLICO MIRA?

SB: Ai suoi fans più intimi e fedeli, non a caso a Cannes è stato fischiato, quel pubblico così attento alle mode sullo schermo, dall’amore viscerale per un capolavoro quale è Drive, si sono ritrovati per le mani un ibrido di 90 minuti in cui non viene approfondito alcunché, anzi è un passo indietro a livello di grezza materia tra Valhalla Rising e Park Chan Wook primissima maniera. Okay scuola di cinema, omaggi e citazioni, ma qui oltre a quello si rasenta il nulla.

SM: Concordo sul fatto che Refn abbia dedicato l’opera a un pubblico estremamente legato alla sua filmografia delle origini, per questo a Cannes è stato, anche, fischiato. In realtà in sala vi era una divisione netta tra applausi e fischi: gli applausi erano del pubblico più coraggioso e più attento alle novità, i fischi di quelli che erano andati a vedere la pellicola aspettandosi una nuova versione di Drive, la sicurezza di un film mainstream banale e rassicurante.

STORIA ORIGINALE O METAFORA GIÀ SENTITA?

SB: Sentita? Vista, letta, “vissuta”. La mania del dettaglio non permette a Refn di uscire dalla prigione esasperata del suo manierismo, l’impatto fotografico regala OGF a un’istantanea di grande livello in cui il volto deturpato del bel Gosling si contrappone allo sguardo severo della madre Scott Thomas (unica veramente nella parte). Il resto, beh, il resto lo cantava il povero Califano…

SM: Già sentita, è ovvio, qui il fulcro della storia è in realtà un Complesso edipico che il cinema ha fatto suo in ogni modo e maniera, ma non in questa. Le immagini, un continuo coito interrotto di scene, vanno di pari passo con l’impotenza del protagonista e, senza nulla togliere alla fantastica Kristin Scott Thomas che è senza dubbio il perno della vicenda, anche Ryan Gosling sta perfettamente in parte e scambiare il suo sguardo assente e funzionale al personaggio che interpreta, vittima della genitrice alla quale è ancora legato, e nello stesso tempo usato, da un fortissimo cordone ombelicale, per incapacità recitativa è assurdo. Probabilmente quello che ci si aspettava da Gosling era un personaggio tutto testosterone ma Refn stupisce, anche in questo.

Scritto da Sandra Martone

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