Ti ho cercata in tutti i necrologi: recensione film

GIANCARLO GIANNINI RIPROVA L’APPROCCIO ALLA REGIA IN UN THRILLER NOIR SEMPRE SOPRA LE RIGHE CHE SFIORA IL GROTTESCO

GENERE: thriller

DATA DI SUCITA: 30 maggio

Potremmo dire che Giancarlo Giannini, 26 anni dopo la prima volta dietro la macchina da presa, abbia voluto darsi una seconda possibilità come regista ma la verità è che Ti ho cercata in tutti i necrologi non è una nuova chance per l’attore prestatosi alla regia ma una vera e propria recidiva.

Nikita (Giancarlo Giannini) è un italiano emigrato all’estero che lavora come autista per una ditta di onoranze funebri e che ha anche il vizio del gioco d’azzardo. Proprio a un tavolo da poker il destino di Nikita prenderà una svolta davvero inaspettata quando, dopo aver perso una grossa somma di denaro, gli verrà proposto di trasformarsi per venti minuti in una preda per i suoi avversari di gioco appassionati di caccia all’uomo.

Nikita accetta la sfida e questa sua scelta lo trascinerà in una serie di accadimenti che ne metteranno alla prova avidità, sanità mentale e istinto di sopravvivenza.

Il binomio, leit motiv dell’intera sceneggiatura, ispirata da una storia vera, è quello, non di certo nuovo, vita/morte-amore/morte.

Il protagonista si trasforma in una volontaria preda portando all’interno del suo percorso i posticci interrogativi su cosa ci sia nell’aldilà arrivando lentamente a sfiorare la follia e ad affrontare, quasi, a viso aperto il rischio di morire assuefacendo la sua mente all’adrenalina del pericolo che incombe.

L’interessante spunto di questo thriller noir è fondamentalmente la narrazione della storia di un uomo avvezzo alla morte che ha il bisogno inconscio di affrontarla per sentirsi vivo passando attraverso a una ludica seduzione in cui spicca, tra gli altri interpreti compreso Giannini tutti sbagliati, una brava Silvia De Santis.

Nonostante non siano nuovissimi i temi posti dietro alla storia che l’attore e cineasta racconta l’idea da cui prendono vita è originale.

Il problema principale del film non sta di certo nella sua sceneggiatura ma nel modo, sempre sopra alle righe, presuntuoso e pregno di virtuosismi sia registici che recitativi talmente eccessivi da risultare grotteschi e ironici in un lavoro dove il grottesco e l’ironia non dovrebbero essere assolutamente contemplati, in cui la storia viene affrontata.

Per la seconda volta nella sua lunga carriera Giannini tenta l’approccio alla direzione di un lungometraggio ricolmando un lavoro potenzialmente interessante di inutilità e abusando di un mezzo, quello della macchina da presa, che è evidente non gli si addica.

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