UN OMAGGIO ALLA VITA DI STEFANO CUCCHI E UNA MINUZIOSA RICOSTRUZIONE DEI FATTI CHE L’HANNO PORTATO ALLA MORTE
Dare un numero a una persona riporta indietro nel tempo al periodo peggiore della storia. Ma nel caso del docufilm 148 Stefano I mostri dell’inerzia quel 148 è una denuncia e non un marchio: Stefano Cucchi il 22 ottobre del 2009 è morto durante la custodia cautelare. Il ragazzo era stato arrestato 6 giorni prima perché in possesso di hashish cocaina e antiepilettici (soffriva di epilessia). Stefano è il 148mo morto in carcere di quell’anno che poi si è concluso con 177 decessi.
Le foto del trentunenne geometra romano privo di vita e martoriato da ecchimosi ed emorragie interne che appaiono dovute a percosse hanno sconvolto l’opinione pubblica e allo stesso tempo l’hanno divisa ponendo al centro della questione non l’ingiustizia in sè ma la fragile questione se fosse giusto o meno mostrarle. A tre anni dall’accaduto e conseguentemente alla sentenza di ieri la risposta sulla futile domanda è arrivata tuonante: è stato giusto mostrare quelle immagini perché palesano agli occhi della gente l’errore della giustizia.
Stefano Cucchi è uno dei simboli, insieme a Federico Aldovrandi, la cui vicenda è stata già appurata con sentenza definitiva, e a molti altri, della violenza e degli abusi del potere. Violenze e abusi puniti dolcemente o totalmente impuniti.
Come spesso accade in questo paese il processo è stato una lunga litania per la famiglia che, solo ieri, con una sentenza opinabile ha condannato in primo grado i medici ma non gli infermieri e, soprattutto, non gli agenti.
Nel 2011 Maurizio Cortolano ha diretto il documentario che è prima di tutto un omaggio a un uomo al quale lo Stato, nella persona delle guardie carcerarie e di quei giudici che nel processo per direttissima del 16 ottobre 2009 hanno confermato la custodia cautelare quando le sue condizioni fisiche erano già precarie e rese peggiori da qualcuno che, evidentemente, dati i lividi visibili in aula l’aveva mal menato, ha tolto il diritto alla vita.
Il lavoro di Cortolano è anche, attraverso le parole degli avvocati, dei familiari e della sorella di Cucchi, Ilaria, sempre in prima fila nella sua battaglia contro il mulino a vento Giustizia Italiana, un racconto su Stefano persona che va, e deve andare, oltre allo Stefano vittima di uno Stato di Diritto dimostratosi in questo come in altri casi disumano. Il lavoro del cineasta è anche una minuziosa ricostruzione dei fatti che a quanto pare la giustizia, ad oggi, ha tralasciato o letto con occhi analfabeti.
Il filmino del 25mo compleanno del ragazzo, la sua voce, la sua timidezza ridanno al ricordo del giovane, o tentano di farlo, la dignità di essere umano che quattro anni fa gli fu tolta, senza renderlo però un martire. Gli errori di Stefano vengono sottolineati più volte, la sua tossicodipendenza non viene giustificata ma raccontata con la consapevolezza lapalissiana che non per questo sia perdonabile il trattamento che ha subito e per il quale in pochi stanno pagando.
La frase pronunciata ieri in tribunale che recita “per non aver commesso il fatto” e che ha scatenato la giusta ira e disperazione di amici e familiari del ragazzo non l’ha ucciso di nuovo, si vive e si muore una volta sola, ma ne ha umiliato il ricordo.
De Gregori cantava cercavi giustizia e trovasti la legge. Una legge che, dopo la visione dl documentario di Maurizio Cortolano, sembra proteggere i servitori dello Stato da errori che hanno come conseguenza la morte. Una legge che si spera sia letta in maniera diversa nei prossimi gradi di giudizio che la famiglia Cucchi dovrà affrontare con la consapevolezza che il giusto non è stato dalla loro parte ma è nel giusto che comunque vivono e lottano. Per Stefano.