Amore Carne: recensione film

PIPPO DELBONO TRA MONOLOGHI E IMMAGINI FONDE LA SUA E ALTRE STORIE

locandina amore carneGENERE: documentario

DATA DI USCITA: 27 giugno

VOTO: 1 su 5

Pina Bausch disse a Pippo Delbono, eclettico regista e attore, che ha negli occhi tre cicatrici attraverso le quali lui vede come si vede nell’acqua: con questo ricordo dell’artista si apre il suo lavoro Amore Carne che sembra quasi essere un percorso che racconta tutti si segni nella vita  dell’uomo partendo da quelli dei suoi occhi, del suo sguardo, con i quali mostra anche al pubblico tutte le altre usando come mezzo un cellulare e una piccola camera hd. 

A partire dalla ripresa con un telefonino dell’analisi del sangue che l’attore fa per l’ennesima volta quasi a voler prendere in giro il ripetente destino e che gli riconfermerà, a 22 anni dalla prima volta, che è sieropositivo Delbono racconta se stesso attraverso persone a lui care, come la madre, e personaggi che vengono dalle più svariate sfumature dell’arte tra danza e musica.

Il lavoro dell’artista, fiero di essere sperimentale, però pone tra le immagini e lo spettatore il limite invalicabile dell’autorefenzialità che appesantisce un docu-film nato da buoni spunti e ricco di riferimenti culturali importanti.

Il vero protagonista di questo lungometraggio non è tanto Delbono ma la sua voce che prende in prestito importantissimi versi di autori del calibro di RimbaudPasoliniT.S. Eliot facendoli propri, cucendoseli addosso e vestendo di essi le immagini che propone.

Se l’inizio di Amore Carne sembra avere una logica narrativa con l’andare avanti della pellicola Delbono eccede di astrattismo e scivola in puri esercizi di stile dal basso spessore estetico che sfociano in un finale quasi isterico non tanto per colpa delle immagini proposte ma proprio a causa della voce dell’artista che estremizza i versi che recita rendendo il suo film molto simile a quei monologhi pieni di noia e dolore dei quali lui si chiede come potrà fare a meno, riferendosi alle parole ripetitive della madre, ma di cui noi spettatori non sentivamo nessun bisogno né prima tanto meno dopo averli ascoltati.

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