LA REDAZIONE “SI SPACCA” SULL’ULTIMA FATICA DI PAOLO SORRENTINO CON TONI SERVILLO
Roma è la città più bella del mondo, Roma osserva impassibile lo scorrer del tempo. Impassibile e fiera guarda dall’alto i suoi abitanti cadere senza stile, esistere senza vivere, li ascolta, li osserva e, dall’alto della sua storica onnipotenza, se ne infischia. La decadenza morale questo il primo livello di lettura de La grande bellezza, città in cui il bello e il marcio vivono a braccetto.
Jep Gambardella (Toni Servillo), 65 anni, è uno scrittore e giornalista navigato, dal fascino innegabile, impegnato a districarsi tra gli eventi mondani di una Roma dalla bellezza altrettanto stupefacente. Compiuti gli anni, qualche dubbio esistenziale comincia a venire alla luce.
1. MANTIENE LO STILE CINEMATOGRAFICO DEL REGISTA?
Gianlorenzo Lombardi: Sorrentino con lo stile dei suoi primi quattro film si è contraddistinto come uno degli autori più originali e promettenti del cinema italiano. Poi da This must be the place le cose sono cambiate: da quel momento l’autore si è reso fin troppo consapevole del proprio talento con la macchina da presa ed è purtroppo giunto ad un momento stabile della sua carriera –confermato dal suo ultimo film- in cui lo stile supera il racconto e il contenuto viene dunque spremuto da una superficiale quanto insopportabile velleità artistica. Perché uno puo’ essere bravo quanto Kubrick con i mezzi a propria disposizione sul set, ma se non si ha un buon testo da cui partire, allora ogni sforzo è inutile: il film resterà mediocre, così come è La grande bellezza.
Simone Bracci: Direi lo eleva, ad una missione sublime di riscatto umanista. Come l’essere umano guarda se stesso e i suoi simili in una deriva senza fine, naturalmente accorgendosene quando è troppo tardi anche per lui. Lo stile di Sorrentino è riconoscibilissimo sin dalla prima inquadratura, naturalmente poi l’entrata in scena del suo vassallo Servillo non fa che amplificare quella sensazione di incantevole manierismo che solo il duopolio formato da miglior attore e miglior regista italiani del momento poteva creare. Il vortice della mondanità, montato superbamente.
2. A QUALE PUBBLICO VUOLE RIFERIRSI?
GL: Sorrentino ancora una volta punta a un pubblico internazionale, arrivando a omaggiare Fellini, Bunuel, Antonioni… Ma il suo cinema è ormai un puzzle variegato di sequenze che prese da sole sono bellissime, messe insieme fanno venire l’indigestione ai più sensibili, proprio per l’incapacità dell’autore di realizzare un discorso cinematografico compiuto. Il film andrebbe magari smontato in frammenti di trenta secondi da far proiettare in una galleria d’arte moderna: solo così si salverebbe. Il film al contrario dura due ore e venti e nel buio della sala si arriva a chiedere pietà.
SB: Ad un pubblico ancorato ad una mentalità antica, un po’ radical chic, ma anche modernista, perchè in fin dei conti il messaggio di sottofondo è una speranza spirituale, che pur nella sua scivolata narrativa, coinvolge tutto il pubblico in sala, spettatori futuri compresi. Il gioco di Sorrentino risiede nel raccontare un punto di vista alto-borghese che si macchia di “peccati” popolani, riuscendo a coinvogliare il messaggio nello sguardo dei suoi personaggi, attori senz’anima in un teatrino delle oscenità.
3. CONCETTUALMENTE, QUAL’È LA GRANDE BELLEZZA INDICATA NEL TITOLO?
GL: Sorrentino, dall’alto del suo cospetto, ci dice che nel nulla della società alto-borghese italiana l’unica possibilità di ritrovare la bellezza sta nell’atto di rifugiarci nei momenti idillici di gioventù, rimpiangendo la persona dell’altro sesso che per un periodo ci ha fatto illudere di poter vivere la vita come in un sogno. Ma queste sono verità risapute e non ci voleva mister ‘voglio rifare Fellini’ per ricordarcelo. A questo punto ridateci Gatsby, almeno lì si trattava la più classica delle storie d’amour fou senza arrivare a fare lezioni di filosofia spicciola agli spettatori.
SB: Il respiro registico risiede nei dettagli in cui si nasconde la grande bellezza: dal cinguettio sulle fronde, allo scorrer d’acqua nelle fontane. Ogni inquadratura nasconde il bello che esalta il brutto, il candore che smacchia l’ignavia, la colonna sonora lirica esalta questo contrasto e ci invita, nel suo manifestarsi possente accanto alla divinità urbana, a prendere le distanze dalla peggiore delle calamità contemporanee: l’indifferenza. Ecco, questo film non lascia affatto indifferenti.
Scritto da Gianlorenzo Lombardi e…