UNA LENTA DISCESA NELL’INCUBO PER JUNO TEMPLE, NEL FILM PASSATO A CANNES, NELLA “QUINZAINE”
Sono sempre meno i film che all’uscita dalla sala destano sensazioni nettamente contrastanti. A questa categoria sembra sicuramente appartenere Magic Magic, il quale conta tra i suoi spettatori chi assicura di aver assistito a una sequela di immagini dove sostanzialmente non accade nulla e chi invece è convinto di aver visto un ‘crescendo’ da incubo nella vita di una ragazza dal gusto molto polanskiano…
Sostanzialmente il ‘concept’ iniziale è degno di un film dell’orrore, con un gruppo di ragazzi che si reca in un cottage da qualche parte nel Cile, totalmente immerso nella natura e distante ore di viaggio dal più immediato centro abitato. In questo caso però non ci saranno demoni, fantasmi o assassini truculenti come ci si potrebbe –banalmente- aspettare: semplicemente nessuno tra i personaggi dimostrerà di essere quello che sembra e per la povera Alicia, per la prima volta lontana dagli Stati Uniti, si tratterà certamente di una permanenza che la marcherà a fondo.
Il pregio del giovane regista Sebastian Silva, alla prima esperienza statunitense, ma con qualche piccolo film cileno sulle spalle, è quello di farci assistere a piccoli eventi del quotidiano dal punto di vista della protagonista, una ancora strepitosa Juno Temple (Killer Joe), dal volto innocente e sperduto, e forse proprio per questo capace di catalizzare sul proprio volto ogni attenzione da parte dello spettatore. È grazie a lei che ogni azione apparentemente insignificante da parte di chi la circonda si trasforma in una delle tante tappe che porteranno a un incubo a occhi aperti capace di sconvolgere lo spettatore: come in Killer in viaggio è anche la natura a far parte di questa discesa negli inferi, dove gli animali e l’acqua del lago diventano i principali punti d’appoggio della paranoia crescente della protagonista.
Nel cast non puo’ che sorprendere un Michael Cera, mai visto così ambiguo e morboso nei panni di Brink: vi è un abisso tra il personaggio da lui interpretato in Scott Pilgrim e quest’ultimo, capace di creare un astio tra gli spettatori non indifferente, viste le sue azioni, non sempre fatte con coscienza di causa, per cercare di far colpo su Alicia. Girato grazie anche al finanziamento di Mike White, sceneggiatore di School of Rock e idolo dei cineasti ‘indie’, il film di Silva conta anche sull’appoggio della preziosa fotografia di Christopher Doyle, abituale collaboratore di Wong Kar-Wai e punta tutto sulla capacità di creare tensione utilizzando pochi elementi, tra cui le performance degli attori, tutti perfettamente in parte.
Magic Magic si presenta dunque come un modo esemplare di fare cinema, creando una struttura lontana dai canoni a cui siamo abituati, in cui i concetti non vengono urlati e sbattuti in faccia allo spettatore fin da subito, ma vengono solo sussurrati e tocca allo spettatore più coraggioso cercare di aguzzare le orecchie per cogliere il messaggio, non proprio edificante.