Stoker: recensione film

CHAN-WOOK APPRODA IN AMERICA E CI METTE IL SUO TOCCO SPECIALE NEL DRAMMA CUPO FAMILIARE

stoker locandinaGENERE: mistery

USCITA IN SALA: 20 giugno 2013

VOTO: 4 su 5

Il ritmo del tempo, la cadenza del respiro, inspirare-espirare, tutto è controllabile e controllato, il battito cardiaco, lo sbattere di ciglia. Il corpo umano è una macchina perfetta e imperfetta al contempo e Park Chan-Wook ne conosce ogni sfumatura. Sa adagiare il suo sguardo al racconto che vuole modellare, dona a lui una veste autoriale di grande spessore e porta il suo stile inconfondibile anche nella culla del cinema mondiale.

Stoker è il suo lavoro più difficile, non del tutto riuscito, ma possessore di un’estetica sfavillante e di una fotografia eccezionale. Che fanno perfetta rima baciata con una regia da manuale, sontuosa ed elegante, capace di innalzare la tacca di perfezionismo maniacale ad un livello da fuoriclasse assoluto, irraggiungibile per moltissimi cineasti contemporanei.

Certo poi va adeguato il tutto ad una storia convincente e qui qualche remora nasce, nel frutto proibito di una relazione parentale ambigua e nata improvvisa nell’isolamento asociale, nella mappatura di un DNA difettoso e nella fragilità dell’adolescenza. In questo quadro espressionista si innesca il rapporto morboso della famiglia Stoker, in cui la giovane India si confronta e scontra con la madre Nicole Kidman e con lo zio Charlie, appena arrivato per il funerale del fratello.

Eccellente Mia Wasikowska nel ruolo, perfetta l’oliatura degli ingranaggi narrativi, ma si è dato poco lustro a motivare alcuni passaggi della sceneggiatura che l’ordigno così sapientemente e raffinatamente elaborato espone, rischiando di disinnescarsi per superficialità. Che certo non penalizza una tecnica di ripresa sublime, pronta a far innamorare chi ammira già l’autore sud coreano.

Le soluzioni visive scelte per raccontare il rapporto familiare e gli intrecci tra violenza accennata e pathos crescente collocano il film in un filone hitchockiano in cui la rivelazione non è necessaria, quello che importa è il contesto di provincia in cui il disagio prospera e la traccia musicale incalza proprio questa alienazione. Buoni e cattivi si confondono e, come molte volte accade nelle sue opere, Chan-Wook esaspera l’unione tra vita reale e fiction con un girato di grande fattura.

La famiglia viene prima di tutto. In questo triangolo della periferia americana, in cui follia e passione si fondono senza remora, la serenità interiore diventa uno scopo da perseguire con ogni mezzo, la giustificazione morale attraverso cui una giovane ragazza diventa donna e quindi carnefice. India si trasforma e per farlo utilizza qualsiasi “arma” che la ragione le possa offrire.

Qualsiasi.

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