Alex Cross: recensione film

ROB COHEN GIRA UN THRILLER CHE MANCA DI COERENZA E CON TYLER PERRY PRIVO DI ISPIRAZIONE

locandina alex crossGENERE: Thriller

USCITA: 18 luglio 2013

VOTO: 1,5 su 5

Quando leggi la filmografia di un regista come Rob Cohen e ti rendi conto che il suo miglior film è Fast and Furious, allora sai cosa ti dovresti aspettare dai prossimi 90 minuti della sua ultima fatica: un’ora e mezza di pura adrenalina, capace di farti spegnere il cervello, com’è talvolta giusto che sia. Purtroppo non si riesce a lasciarsi troppo andare durante la visione di Alex Cross ispirato all’opera letteraria di James Patterson, il cui protagonista è apparso anche in film quali Il collezionista e Nella morsa del ragno. Lì c’era un fuoriclasse come Morgan Freeman a interpretarlo, qui abbiamo un attore più giovane, divo in patria, totalmente sconosciuto da noi, tale Tyler Perry. Una scelta che si rivela in parte disastrosa per il genere di film in questione. Ma non è l’unico problema.

Alex Cross è un detective dal fiuto eccezionale, sorta di Sherlock Holmes dei nostri giorni in grado di risolvere i casi apparentemente più impossibili. In squadra con il compagno delle elementari Thomas Kane, Cross avrà a che fare ben presto con un killer agile e temibile: dopo il loro primo incontro questo renderà la vita dei due investigatori impossibile.

In un certo senso i film in cui l’assassino si vede dall’inizio sono più intriganti di quelli in cui costui si deve andare a scoprire: si viene a formare un duello tra bene e male che dura dalla prima all’ultima scena, in cui i due antagonisti scoprono di avere in comune più di quello che sembra, lasciando col fiato sospeso lo spettatore nella maggior parte dei casi. Peccato che non si possa dire lo stesso di Alex Cross. La sceneggiatura è tra le più sgangherate e prevedibili che siano state portate sul grande schermo di recente: fa strano infatti che in un prodotto del genere a un certo punto non appaia Nicholas Cage, ultimamente avvezzo a prodotti simili.

Sembra a tratti di trovarsi a un thriller televisivo della peggior specie, in cui tutti gli stereotipi del genere vengono messi in rassegna e perfino alcune frasi le abbiamo ascoltate migliaia di altre volte: sentenze del genere “Una cosa vi posso dire: agisce da solo” oppure “non è finita. Non ancora” e così via. Sembra quasi di trovarsi in una parodia e la mano –un tempo- agile di Cohen si nota giusto in scene quali l’irruzione nel palazzo da parte del killer, l’unica adrenalinica, che comunque non vale il prezzo il biglietto.

Se dunque il lavoro degli sceneggiatori è da dimenticare –soprattutto per il colpo di scena finale, intuibile da metà film-, la scelta del protagonista, Tyler Perry, si imprime nella memoria dello spettatore per ben altre ragioni. Perry in patria è conosciuto per commedie indirizzate a un pubblico afroamericano in cui è solito travestirsi da donna anziana, per un personaggio entrato nell’immaginario collettivo come Madea. L’attore già a un primo sguardo puo’ sembrare una sorta di Teddy Bear alto due metri, ideale per ruoli quale il padre impacciato o l’impiegato esilarante di una ditta d’assicurazioni. Quando deve cercare di fare il duro, nei panni del poliziotto più astuto del suo reparto, non funziona affatto: come se noi italiani per il ruolo di Montalbano avessimo scelto un tipo come Erico Brignano.

Ve lo immaginereste? Fortunatamente a farli da spalla troviamo Edward Burns (l’amico del cuore) e il villain James Fox che cercano di dare freschezza a ruoli visti e stravisti, riuscendoci almeno in parte. Sostanzialmente, nonostante i milioni spesi, si tratta di un film che era meglio non fare: meglio rivedersi i precedenti film con Freeman, almeno lui è sempre credibile, altro che Tyler Perry

 

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