L’estate sta finendo: recensione film indie

UNA COMMEDIA NOIR CHE HA COME PROTAGONISTA LA PEGGIO GIOVENTÙ ITALIANA

Negli anni 80’ andavano molto di moda alcuni film che incentravano la loro sceneggiatura sulle avventure estive di un gruppo di ragazzi che si incrociavano in luoghi balneari. Erano i Vanzina i registi di queste pellicole per lo più ambientate negli anni 60’ anche se i protagonisti stereotipavano i giovani di un paio di decenni dopo.

A 30 anni da film come Sapore di mare Stefano Tummolini con L’estate sta finendo riprende, a suo modo, quel filone che all’epoca era di mediocre commedia all’italiana dandogli leggere e inutili sfumature di giallo e thriller.

Domenico e Fabrizio organizzano una vacanza di fine estate per rilassarsi prima dell’inizio dell’università. Al gruppo di soliti amici si aggiunge però Giudo, cugino sfigato di Domenico. L’iniziale atmosfera goliardica e leggera viene spezzata da un incidente che metterà in crisi tutti protagonisti e di conseguenza la serenità del gruppo stesso.

La seconda opera di Tummolini, dopo Un altro pianeta (2008), si divide nettamente in due parti: la prima in cui è disegnata l’introspezione dei vari personaggi, la loro psicologia, funzionale alla seconda metà del lungometraggio dove ciò che lo spettatore sa di dei protagonisti è utile per rendere logiche le reazioni dopo che la quiete si spezza.

In uno stile misto che tra commedia e noir il cineasta fa dei suoi attori dei modelli riconoscibili, a volte troppo, della peggio gioventù italiana forzando addosso a ognuno di loro uno stereotipo purtroppo fortemente verosimile.

Se non esce bene da E la chiamano estate la generazione under 20 che viene ritratta , peggio ne escono gli attori che la rappresentano: complici dei dialoghi didascalici e non sempre credibili la recitazione di ogni membro del giovane gruppo avvicina il lavoro alle peggiori fiction che il belpaese vanta.

Il disegno sociale che Tummolini fa nel suo film risulta alla fine comunque interessante tanto che il colpo di scena sembra addirittura forzato e non necessario mentre sarebbe stato bello risolvere invece la sceneggiatura allungando solo la prima parte della pellicola e soffermandosi così su questa generazione perduta senza la presunzione di poterla ritrovare o salvare.

 

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