DAL FUMETTO DI JERRY SIEGEL E JOHN SHUSTER AL FILM DI ZACK SNYDEL
In principio è stata la televisione, agli inizi degli anni 50’, a dare un volto umano al Superuomo, molto più che nietzscheano, dei fumetti di Jerry Siegel e John Shuster, scritti e disegnati per la prima volta nel 1932. Anni dopo, nel 1978 fu lo stesso supereroe ad anticipare la moda dei cinecomic, che da una decina d’anni a questa parte invadono le sale cinematografiche ottenendo grande consenso di pubblico, con il Superman di Richard Lester. Il lungometraggio vanta due sequel, firmati dallo stesso regista, e un terzo ad opera di Sidney J. Furie nel 1987. Da allora, solo molti anni dopo, nel 2006, il mito del supereroe è stato rispolverato da Bryan Singer con Superman Resturns, un film che è l’ideale seguito di Superman II (1980), il secondo capitolo dei tre diretti da Lester.
Nonostante il Premio Oscar per gli effetti speciali il lungometraggio però non ottenne il successo sperato.
A sette anni da quel flop Superman è tornato in queste settimane sui grandi schermi con un reboot il cui titolo è preso dal suo soprannome: L’uomo d’acciaio.
Stavolta per produrre il cinecomic è stato messo insieme lo stesso team che è stato in grado di dare nuova vita a un altro supereroe, Batman, che grazie alla trilogia Il cavaliere oscuro ha rinnovato la figura dell’uomo pipistrello e ridato splendore al suo mito.
Se vogliamo essere sinceri, e non ce ne vogliano i fan, tra i supereroi che la tradizione fumettistica ci ha regalato Superman non brilla certo per simpatia: perfetto, poco umano quasi un Cristo senza croce, un salvatore senza dolore e, quindi, senza passione.
Nonostante questo, però, il reboot è stato fatto con alle spalle una produzione di tutto rispetto che non è però riuscita ad ottenere lo stesso impatto de Il cavaliere oscuro su pubblico e critica. Sbagliato l’attore (Henry Cavill), caotica la sceneggiatura, belli gli effetti speciali ma davvero troppo ripetitivi i combattimenti.
Però, c’è sempre un però, L’uomo d’acciaio, e lo si capisce bene dal suo finale, non è altro che un lunghissimo incipit del suo sequel, già messo in cantiere e forse l’errore, almeno uno degli errori, sta proprio nel dare troppe inutili spiegazioni e nell’inserire eccessivi elementi in un film che avrebbe potuto essere più semplice ed efficace.
Ma quali sono le differenze tra il fumetto originale di Jerry Siegel e John Shuster rispetto al cinecomic diretto da Zack Snyder? Partiamo dal presupposto che Superman è opera di due ebrei d’America, entrambi figli di sarti, durante il periodo della grande depressione, conseguente al crack del 29’, quindi è un supereroe estremamente contemporaneo alla sua epoca. Inizialmente non era un eroe positivo ma un vagabondo che leggeva nella mente degli altri ma poi, scrittore Siegel e disegnatore Shuster, trasformarono la loro idea iniziale in quella che la storia ha voluto fosse la vincente: Superman (con quel man finale che ricorda molti cognomi di origine ebrea) diventa, una sorta di messia proprio grazie alla penna e alla matita di chi un messia lo sta, secondo la sua religione, ancora aspettando. Superman è l’eroe della depressione americana che come Mosè viene salvato, che come Mosè sarà salvatore e non è un caso che i suoi nemici, nel fumetto originale, sono scienziati pazzi, imprenditori disonesti e politici corrotti. (autori della depressione?)
Se nell’idea dei due creatori originali c’era sicuramente qualcosa di molto vicino alla loro religione, Zack Snyder nel suo reboot fin dalla scena della nascita del piccolo Kal-el cristianizza il supereroe tramite una sorta di natività futuristica e anche attraverso la prima immagine che vediamo di Clark Kent adulto nella quale lui è pescatore, per finire alla notizia che quella S sulla tuta sia sinonimo di speranza.
L’ispirazione divina del personaggio continua in tutto il film anche attraverso le figure dei due padri il primo interpretato daRussel Crowe e che fa le veci di Dio e il secondo da un Kevin Costner (un Giuseppe dei nostri giorni) che si lascia morire purché il figlio dimostri al mondo la sua forza, la sua missione. Ed è proprio nel rapporto con i due papà che sta la parte potenzialmente migliore del film, anche se gestita purtroppo molto male in sceneggiatura: il padre giusto che mette al mondo (per il mondo) un erede giusto e il padre buono che attende di mostrare la forza di suo figlio.
Il personaggio più comic del film è sicuramente il Generale Zod (Michael Shannon, forse l’unico attore pienamente nel ruolo) villain che non fa parte dei fumetti originali ma che è apparso per la prima volta nel 1961 nelle Adventures comics della DC. Ilcattivo Zod è un nemico di Krypton imprigionato nella zona fantasma che non appare nelle origini di Superman, ma è chiaro il motivo, funzionale al genere cinematografico, del suo avvento sul grande schermo avendo un ruolo ben preciso di antagonista coerente al format della sceneggiatura e per questo già usato in Superman e Superman II.
L’uomo d’acciaio potrebbe quindi essere un cocktail di perfezione: Messia, Salvatore, S-speranza del mondo in questi tempi di nuova depressione. Extraterrestre guida dell’umanità che sulla terra non trova condottieri.
Potrebbe esserlo, se solo non fosse così noioso.