NESSUNA LACRIMA NEL RACCONTO DI UN DIFFICILE ANNO DI VITA PER IL REGISTA JOAQUIM PINTO
Non è outing ma semplicemente un raccontarsi: sembra che ultimamente i cineasti non abbiamo più paura di mostrare al mondo quella che è stata in passato e che, proprio per il silenzio che la circonda tutt’ora come se erroneamente non esistesse più, ancora una malattia tabu, l’aids.
Dopo Pippo Delbono che con Amore Carne ha parlato attraverso la sua voce e le immagini riprese da un cellulare della sua sieropositività, arriva il portoghese Joaquim Pinto a narrare com’è e cosa vuol dire convivere con questo morbo.
Con E Agora? Lembra me Pinto senza alcuna linearità tra spazio e tempo ma piuttosto attraverso accostamenti e paesaggi portoghesi, metropolitani e rurali, fino alle Azzorre dice la sua quotidianità: dalle medicine della nuova terapia dagli effetti pesanti e gli esiti insicuri, al suo compagno Nuno, i loro cani, i loro discorsi e il loro girovagare che visto dagli occhi del cineasta sembra quasi un fluttuare per il mondo che non può non affascinare chi lo guarda, anche da mero spettatore.
Il lungometraggio del cineasta portoghese non racconta nulla: è un’opera fortemente egocentrica, anche se non ego-riferita come quella del su citato Delbono, e proprio per questo bella da seguire in ogni scorcio poiché c’è al suo interno una passione palpabile per l’esistenza e la totale assenza di una ricerca di pietà, che sarebbe anche giusta da chiedere. E Agorà? Lembra me ha la grande dignità di non essere un lavoro alla ricerca di nessun tipo di consenso o, almeno, di non sembrarlo.
Non vi è ostentazione né del male che affligge il regista né dell’omosessualità del rapporto tra i due coprotagonisti della vita e della pellicola. Vi è solo la naturalezza di un racconto che non vuole insegnare ma solo far sapere e anche quando i due uomini fanno l’amore lo spettatore non si sente un voyeur nel guardarli piuttosto ammira, come in molti altri spezzoni del lungometraggio, il modo in cui andrebbe vissuta la vita: senza paura.