Locarno 66 – Exhibition: recensione film (concorso internazionale)

L’INGLESE JOANNA HOGG DIRIGE UN FILM DI IMMAGINI DOVE LA VERA PROTAGONISTA È UNA CASA PROGETTATA DA JOHN MELVIN, A CUI IL LUNGOMETRAGGIO È DEDICATO

Come può un lungometraggio avere come protagonista una casa? Ce lo spiega l’inglese Joanna Hogg con il suo terzo lavoro, Exhibition, in cui racconta le vicende di D e H una coppia di artisti di mezza età che vivono in una residenza progettata dall’architetto John Melvin, a cui il film è dedicato, che dopo 20 anni decidono di vendere probabilmente per uscire fuori da quella crisi coniugale che non viene palesata nei loro gesti – sembra routine e non rottura il loro lavorare in due piani diversi e l’incontrarsi solo per per fare l’amore – ma nella stessa architettura della loro dimora come quella tortuosa scala a chiocciola che sembra, visivamente, dividerli più che unirli.

Le immagini, e non di certo l’azione, sono il perno del film della Hogg ed è proprio attraverso le inquadrature della casa in cui la vita della coppia va, spesso dal basso come a sottolineare la sua importanza e il potere che il luogo ha sui due, che si capisce che l’assoluto centro di tutto il lungometraggio è quel luogo e non chi ci vive.

Le vicende sono tutti girate in interni perché gli esterni sono frutto di tensioni e di minacce secondo la visione di D e H: ed ecco che l’architettura è la chiave attraverso la quale la cineasta inglese trova una maniera molto originale per raccontare una storia d’amore, probabilmente sfinita, parlando in un modo nuovo di un tema che nel cinema è più che abusato.

Purtroppo però, nonostante la regia minuziosa e la bravura dei due protagonisti interpretati dall’artista Liam Gillick e dalla musicista Viv Albertine, che pur non essendo attori di professione sono a loro totale agio innanzi alle telecamere, la mancanza d’azione in questa pellicola si sente e dopo la prima parte nella quale la sola presenza di alcune scene lascia basiti e coinvolgendo la vista, risuta difficile da seguire il film a causa un’assenza di dinamismo che purtroppo è la grande pecca di un lavoro esteticamente ineccepibile.

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