Locarno 66- Sangue: intervista a Pippo Delbono

PER ME L’USO DEL CELLULARE O DI UNA PICCOLA TELECAMERA È UNA NECESSITÀ: NON POTREI CREARE INTIMITÀ CON I MIEI ATTORI SE NON AVESSI QUESTO TIPO DI MEZZI.

È stato presentato ieri alla stampa Sangue il nuovo lungometraggio di Pippo Delbono, in concorso al Festival di Locarno, girato, come il precedente Amore Carne, con una piccola telecamera e un cellulare.

Il film, che si incentra su temi molto delicati come l’amore, la morte e l’amicizia visti attraverso la vita del regista, la malattia e il decesso della madre e le parole del suo amico, ex brigatista, Giovanni Senzani, ha diviso, come spesso capita quando si tratta del cineasta e regista teatrale, il pubblico.

Abbiamo incontrato Pippo Delbono per cercare di capire meglio insieme a lui questo suo particollarissimo lavoro.

Delbono per lei il cinema è una necessità?

L’uso di un cellulare o di una piccola Canon da 100 euro per me è una necessità. Non potrei creare un’intimità con i miei attori se non avessi questo tipo di mezzi. Soltanto un piccolo mezzo poteva cogliere questo tipo di bellezza del cinema. Iosseliani proprio ieri sera ha detto che il cinema ha perso la sua necessità. E’ vero. Siamo diventati vittime di un sistema in cui l’extra è iù forte di quello che c’è dentro. Se dovessi fare un film sull’Italia di oggi, sul berlusconismo, probabilmente userei delle camere pazzesche, dei filtri e dei carrelli pazzeschi. In quel caso non andrebbe bene il cellulare.

I mezzi che lei usa, oltre a reare intimità con i suoi attori fanno anche sì che il suo film sia un film low cost…

Questo non è un film low cost. Questo è un film a zero cost. Devo perciò ringraziare i miei collaboratori e il mio produttore perchè credono in questa idea di cinema.


Una delle parti più toccanti de film è quella della morte di sua madre: lei l’ha ripresa mentre stava morendo e anche dopo. Come è stato girare quelle scene?

Da una parte tenevo la mano di mia madre che stava morendo e dall’altra avevo in mano il telefonino e mi sentivo come fossi diviso. Da una parte sentivo di voler morire con lei, dall’altra avevo questa camera che era come se fissasse per sempre quel momento. Nello stesso tempo quella che vedi sullo schermo non è più tua madre. Diventa LA madre. E’ come quando Pasolini scrivere una poesia alla madre. Diventa poesia.

È la morte il filo conduttore di Sangue. Perché?

L’importante è rapportarsi alla morte come ‘fatto’. Non con i morti. L’Italia ha paura di raccontare la verità. Il nostro è il paese della menzogna, menzogna accettata come ‘fatto’. Chi non vuole conoscere il proprio passato, non potrà mai capire dove si trova.

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