“IL CINEMA PER ME È UN’ARTE MINORE, MA MI HA OFFERTO DELLE STRAORDINARIE POSSIBILITÀ”
“Il cinema per me è un’arte minore, ma mi ha offerto delle straordinarie possibilità” così parlava dell’arte numero sette Alberto Bevilacqua che si è spento proprio ieri, all’età di 79 anni, lasciando al mondo una buona quantità di parole scritte, a partire dal suo romanzo di esordio La Califfa del 1964, ma anche alcune pellicole spesso tratte dai suoi romanzi.
Scrittore, prima di tutto, ma anche sceneggiatore e regista Bevilacqua si affacciò al mondo del cinema lavorando con cineasti del calibro di Rossellini, Visconti, De Sica e Zampa per poi dedicarsi lui stesso alla regia che gli fruttò nel 1972 anche un David di Donatello con un lungometraggio tratto dalla sua seconda opera letteraria, già vincitrice del Premio Campiello nel 1964, Questa specie d’amore che aveva come protagonista una splendida Romy Schneider nei panni di un’operaia parmense.
La prima opera cinematografica dello scrittore però è stata la trasposizione de La Califfa del 1969 da lì diresse ancora sette film e una mini serie tv Le rose di Danzica. L’ultimo suo lavoro cinematografico risale al 1999: Gialloparma, sempre tratto da un suo omonimo romanzo, è una storia di intrighi, malelingue, umiliazioni familiari che hanno sullo sfondo la città natale dello scrittore. La critica non apprezzò questo suo ultimo abbraccio al cinema per la scelta del linguaggio, tipico della fiction, e per l’eccessiva durata della pellicola.
Se la sua storia con il cinema finì 14 anni fa quella con la letteratura, il vero amore della vita di Bevilacqua, è continuata per tutta la sua esistenza: l’ultima pubblicazione, Milano Califfa, risale infatti al 2012.
Scrittore, poeta, regista, sceneggiatore ma prima di tutto grande affabulatore: Bevilacqua è stato uno dei letterati più prolifici della scena italiana. Apprezzato da Sciascia e Pasolini l’autore ha prestato la sua arte a vari generi letterari riuscendo sempre a convincere il pubblico.
“Io cerco un ventre, orgoglioso e umiliato, per morirci teneramente, come ci sono nato” questi sono i primi versi che lo scrittore buttò giù all’età di soli 13 anni. Parole che a oggi sembrano premonitrici di un’intera esistenza di curiosità e ricerca all’interno di quel ventre orgoglioso e umiliato di una madre che si chiama arte.