La vie d’Adele: polemiche al cardio/palma (d’oro)

DOPO IL CASO BERTOLUCCI/SCHNEIDER ECCO CHE ANCHE LE PROTAGONISTE DEL FILM DI KECHICHE CERCANO VENDETTA (O NOTORIETÀ ?)

Chiusa, forse un tantino troppo tardi ma con tanto di scuse d’autore, la parentesi al burro tra Bernardo Bertolucci e Maria Shneider si apre un’altra faida regista-protagonista che stavolta vede scontrarsi ben tre personaggi.

Non tantissimo tempo fa, per la precisione a maggio scorso, sul palco della Sala Lumiere del Festival di Cannes sono stati baci abbracci e smancerie tra Abdel Kechiche e Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos dopo che il lungometraggio La vie di Adèle, di cui lui è il regista e loro le protagoniste – premiate con una menzione speciale della giuria presieduta da Sreven Spielberg – che ha vinto l’ambitissima Palma d’Oro. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti e l’idilliaco rapporto a tre è stato sfaldato dai pubblici sfoghi delle attrici partiti dalla presentazione del lungometraggio negli Stati Uniti. La più incattivita delle due è sicuramente la Seydoux, che ha asserito, in un’intervista al Daily Beast che la lavorazione del film è stata orribile per il numero dei ciak ripetuti e l’atteggiamento dittatoriale del cineasta per il quale, ha tuonato, non lavorerà più per poi sentenziare: “in Francia non è come negli Stati Uniti. Il regista ha tutto il potere. Quando sei un attore in un film e firmi il contratto devi dare te stessa, in un certo modo sei intrappolata”.  Mentre la più pacata Adèle ha aggiunto“volevamo dare tutto quello che avevamo, ma talvolta c’era una forma di manipolazione che era difficile da gestire”.

La risposta di Kechiche non si è fatta di certo attendere e in un’intervista a Telerama ha detto: “secondo me il film non dovrebbe uscire, ci sono state troppe diffamazioni. La Palma d’oro non è stata che una breve parentesi di felicità. Successivamente mi sono sentito umiliato, disonorato, ho sentito respinta la mia persona in una maniera che vivo come una maledizione” . Aggiungendo che la viperetta Seydoux ha insistito moltissimo per quel ruolo, nonostante i suoi dubbi che sono rimasti tali per tutto il tempo delle riprese, e che la sua frustrazione sembra alquanto anacronistica visto che a Cannes era tutta sorrisi e vestiti eleganti. In sua discolpa, poi, ha dato la propria definizione di attore, a grandi linee sottoscrivibile anche da spettatori: “secondo me essere attore richiede l’investimento di tutta un’esistenza, l’impegno di tutto il proprio essere con delle conseguenze che possono essere talvolta dolorose. È un dono che si ha terribile, non un mestiere come qualche volta si ritiene, in maniera un po’ futile”.

La verità, come spesso capita, sta nel mezzo ma non è una novità che i grandi cineasti usino maniere forti per ottenere ciò che pretendono dagli interpreti che scelgono. Oltre al caso, si spera ormai archiviato e del tutto fuorviato dai media, Bertolucci/Shneider anche Stanley Kubrick fu molto duro, durante le riprese di Shining con Shelley Duvall: la famosa scena in cui l’attrice colpisce Nicholson con la mazza è stata ripetuta 127 volte, una prodezza che si dice di aver infranto il record per la maggior parte delle “ripetizioni di una singola scena di un film con dialoghi parlati.”  E c’è di più: la Duvall durante le riprese si ammalò e perse i capelli. E questo è solo un altro esempio, tra i tanti. C’è da aggiungere, a onor del vero e dell’arte, che quello che hanno in comune questi film, dove i registi hanno il ruolo anche di oltranzisti cattivoni, è essere dei veri e propri capolavori.

S.M.

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