Love Marilyn – I diari segreti: recensione film

L’ENNESIMO OMAGGIO ALLA DIVA NON AGGIUNGE NULLA DI NUOVO AL RISAPUTO

GENERE: documentariolove marilyn

DATA DI USCITA: 30 settembre

DURATA: 100’

VOTO: 2 su 5

Santa, puttana, icona, diva. Di Marilyn Monroe, è stato scritto, detto, mostrato, proposto e riproposto – ancora e ancora – tutto. Forse anche troppo: la sua vita, e la sua morte, sono state oggetto di ricerche e di dicerie, di tesi complottistiche e di adorazione. La sua vita e la sua morte sono state vivisezionate e, non solo grazie a questo, il mito della bionda preferita dagli uomini non è mai scemato.

Fare un documentario su Marilyn è sempre un’impresa difficile: trovare qualcosa di nuovo da tirare fuori dal cilindro della breve esistenza della diva non è cosa facile e in Love Marilyn – I diari segreti, il tentativo è miseramente fallito.

Liz Garbus si è ispirato al libro Fragments (edito in Italia da Feltrinelli) per ripercorrere la vita e l’anima dell’attrice attraverso i suoi pensieri più segreti e intimi che sono stati resi pubblici in un volume che racchiude le poesie e gli appunti della donna, immagini inedite e fotografate dei suoi diari, del suo essere, ancora e nonostante tutto Norma Jeane Mortenson.

Il cineasta monta immagini già ben note dell’attrice insieme commenti di personaggi che la conobbero (come il regista Billy Wilder, l’attore Jack Lemmon, il drammaturgo ed ex marito Arthur Miller) aggiungendo una carrellata di attrici che leggono le sue memorie e i suoi pensieri. Trai volti femminili noti che si nono presi l’onere e l’onore di dar voce all’anima di Marilyn troviamo Uma Thurman, Glenn Close, Marisa Tomei, Evan Rachel Wood, Viola Davis e addirittura Lindsay Lohan. La stessa operazione/tributo viene fatta anche da voci e volti maschili che evocano commenti di uomini che hanno toccato la vita dell’attrice attraverso le interpretazioni di Adrien Brody, Paul Giamatti, F. Murray Abraham, David Strathairn, Oliver Platt.

Il grande limite di questo docufilm è quello di non aggiungere di nulla al già noto e stra-noto. In una narrazione cronologica perfetta che ripercorre la carriera di Marilyn dai suoi esordi fino alla morte, senza tralasciare la carrellata dei suoi perduti amori, la descrizione della diva è sempre la stessa: una donna schiacciata dal peso della notorietà, fragile di un’infanzia dolorosa. Una donna che solo dopo essersi tolta la vita è stata definita pensante. Una donna esasperata ed esasperante come, per l’ennesima volta si afferma attraverso le parole di Jack Lemmon o di o Billy Wilder nel ricordo degli atteggiamenti dell’attrice sul set di A qualcuno piace caldo.

Sensazionalistico e banale I love Marilyn è indebolito anche, nella prima parte, da una colonna sonora moderna che fa a pugni con le immagini che propone.

Forse sarebbe l’ora di parlare dell’attrice attraverso i suoi film invece di girarne di nuovi che sono solo un copia-incolla, un eco stonato del risaputo. E la frase finale del regista fermata d’autobus, Joshua Logan, che disse: “Marilyn è un incrocio tra Greta Garbo e Charlie Chaplin” è solo l’ennesima citazione presuntuosa e sopravvalutata. Marilyn non è mai stata simile a nessuno. Per questa è stata tanto imitata.

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