RESTREPO, LA GUERRA VISTA DALL’INTERNO
Un nemico. Una guerra. I morti. Uomini che combattono, uomini che tra loro non si sono mai visti ma si ritrovano l’uno contro l’altro. Un colpo in canna, e la consapevolezza che il più veloce a premere il grilletto sarà quello che la spunterà. La guerra non è vita, è l’alterazione di ogni ordine che l’essere umano può concepire. La guerra è il trofeo da mostrare per riempirsi la bocca di soddisfazione. Ma che soddisfazione può dare, un immenso flusso che inonda il mondo di sangue?
La guerra in Afghanistan, come ogni guerra, è questo. Iniziata nel 2001 dopo l’attentato alle Torri Gemelle dell’ormai tristemente noto 11/09, con il presidente americano Bush che ha inviato contingenti con lo scopo di distruggere la setta terroristica di Al-Quaeda e il suo creatore Osama Bin Laden. A 12 anni di distanza, il conflitto è ancora in corso. Un conflitto che ha preso il via nascondendosi dietro il pretesto di portare il bene nel mondo e ristabilire la pace. Anche se non c’è mancanza di rispetto più grande che parlare di guerra in nome della pace. Un insulto all’intelligenza.
La visione della guerra, sebbene la sua crudeltà sia evidente anche ai più duri di cuore, è purtroppo soggettiva quindi. Per capire come funzionano i meccanismi che essa altera sulle persone, il reporter di guerra Sebastian Junger, accompagnato dal fotoreporter Tim Hetherington, ha vissuto qualche mese con i soldati del Secondo plotone dell’esercito degli Stati Uniti, con la camera da presa in mano per documentare la vita di guerra. Restrepo – Inferno in Afghanistan, è un lavoro apolitico e acritico. E’ un viaggio all’interno della realtà quotidiana di uomini costretti – o meno – a situazioni di stress al massimo livello.
Il sipario si apre in seguito ad un attacco del nemico, nel quale hanno perso la vita numerosi soldati dello US army. “loro la pagheranno, li faremo sentire come ci sentiamo noi ora!”, grida l’ufficiale al suo plotone fatto di sguardi persi nel vuoto dopo l’ennesima perdita. Come se per ogni persona che passa oltre questa vita, un pezzo dell’anima dei sopravvissuti vada via con loro, lasciando un vuoto incolmabile e inguaribile.
“Non eravamo pronti per questo“, non si è mai pronti per una situazione come questa. Il documentario Restrepo è un fiore all’occhiello nel panorama dei prodotti di guerra, è un’opera veritiera che non mette in risalto nulla, se che cosa significhi davvero essere in guerra. Non c’è solo la schiettezza e la sensibilità che unicamente un reportage può mostrare, ma anche le interviste a quegli stessi soldati anni dopo essere tornati a casa loro. Un lavoro a tutto tondo, un’indagine psicologica e sociologica ancora di un’attualità che proprio non vorremmo. Un documentario che ha vinto numerosi premi internazionali e ha ottenuto anche una nomination agli Oscar. Una grande opera di giornalismo, una di quelle bisognerebbe vedere più spesso nelle sale.
Chiosa finale: il fotoreporter Tim Hetherington, è stato ucciso a Misurata il 20 Aprile del 2011 mentre stava facendo un servizio sulla guerra civile in Libia. Anche questa è guerra, uno scontro di valori e culture, una violenza senza scrupoli che coinvolge anche chi stava facendo il proprio lavoro. Ma questa è tutta un’altra storia, anche se sempre di guerra si parla.