TERRY GILLIAM CITA SE STESSO CON UN’OPERAZIONE CURIOSA QUANTO PREVEDIBILE
DURATA: 110 minuti
VOTO: 2,5 su 5
La fantasia al potere di una mente ormai matura crea un universo di colori ed emozioni. Detto così sembrerebbe quasi che The Zero Theorem di Terry Gilliam sia un film riuscitissimo e invece no, nemmeno il quotatissimo Christoph Waltz riesce a far decollare un’opera sciapa e colma di melensa retorica.
Perché la sua opera retro-fantascientifica cita la sua intera carriera, con meno verve e me no audacia d’immaginazione, siamo lontani dai fasti di Brazil, qui ci troviamo davanti ad un quadro sbiadito rispetto ai suoi precedenti lavori, con buona pace della fantascienza moderna.
Nel futuro alternativo ogni cosa é controllata (ottimismo mai eh) ed ogni essere umano appare come una tessera del puzzle nel disegno più grande, una versione avveniristica dei tempi moderni, in cui la critica é alla società digitalizzata. Quella che porta ad un’alienazione dell’individuo e al collasso dei rapporti sociali.
Una solitudine interiore che Gilliam pretende di raccontare attraverso la vita di Qoenn , umanoide in cerca di risposte sulla propria esistenza. Matt Damon in una breve apparizione è il cinico Management del creato. Mancanza di ritmo e assenza di vero pathos allontanano lo spettatore dalla satira contemporanea voluta dal regista.
Ci si rapporta con il retaggio del passato, in cui ogni azione è una minuziosa esagerazione sublimata dalla concetto di fiction, sia l’amore platonico, che la rete neurale, persino la paura della morte sono sentimenti di lunghissima generazione, persino al cinema. Nulla é inventato, il resto già visto. Gilliam nonostante qualche guizzo pare l’abbia dimenticato.