Two Mothers: recensione film

UN FILM SU UN AMORE MORBOSO COMPLETAMENTE SURREALE

two mothers locandina filmGENERE: drammatico

DURATA: 100′

DATA DI USCITA: 17 Ottobre 2013

VOTO: 2 su 5

Ammettiamo in partenza, che probabilmente non era facile raccontare una storia come questa. Voler portare sul grande schermo Le Nonne di Doris Lessing, è un rischio, come solo sa chi ha letto il libro del premio Nobel per la letteratura. Anne Fontaine ci prova, con Two Mothers – Adore, ma quel che ne esce fuori è solo un lavoro poco riuscito da cui si salvano davvero pochi elementi.

Lil (Naomi Watts) e Roz (Robin Wright) si conoscono da quando sono nate, portando avanti per tutta la vita un legame così stretto da sembrare familiare. E come loro, anche i loro bambini imparano a crescere e maturare insieme. Tutto scorre normalmente, finché un giorno Ian (Xavier Samuel), figlio di Lil, mostra la sua attrazione sessuale verso Roz. Quando il figlio Tom (James Frecheville) scopre la relazione tra la madre e l’amico, si rifugia a casa di Lil, dove accade la stessa identica cosa. Le due famiglie trascorrono così del tempo insieme completamente sopraffatte dall’amore e dall’eros, consapevoli che i figli ancora giovani prima o poi li dovranno lasciar andare per prendere il volo. O forse no.

Il tutto è raccontato sullo sfondo di un paesaggio onirico, uno spazio paradisiaco fuori ogni tempo e ogni spazio in cui vivere una storia così lontana dalla realtà. Il problema vero di questo film è che un soggetto che poteva essere interessante è stato gestito in mal modo risultando completamente surreale e forzato. La passione trasgressiva non viene analizzata nel profondo, introducendo solo didatticamente le riflessioni e i pensieri delle protagoniste, che nulla apportano in più rispetto a quello che ci si aspettava come base. C’è solo qualche sguardo tormentato e qualche lacrima accompagnata dal “ma che stiamo facendo? Finiamola qua“, senza realmente entrare dentro ad un argomento così scottante e accattivante. Si rimane sgomenti difronte ad una sceneggiatura davvero insipida, così poco energica e graffiante da risultare davvero esasperante.

Una buona idea insomma, trattata davvero malamente, risollevata dalle buone interpretazioni delle esperte protagoniste, che si mettono in gioco dando il via libera all’occhio indiscreto e ravvicinato della macchina da presa sui loro corpi. Tutti i quattro personaggi della storia infatti, vengono mostrati come oggetti sessuali scolpiti, con primi piani e sequenze che riprendono particolari posizioni e particolari dettagli di momenti.

Sembra, in sostanza, un eterno gioco erotico di cui nessuno si stanca. Ma i giochi hanno un tempo, e quando i bambini crescono, com’è normale che sia, si stufano e li lasciano in un angolo a prendere polvere, per poi buttarli definitivamente. E se alcuni di questi rimangono anche durante la crescita, è perché ci si è affezionati, ma il loro utilizzo è pari a quello di un suppellettile. Perché è così che va la vita, e qualcuno alla regista dovrebbe dirlo.

 

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