Don Jon: la recensione

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locandina-don-jonJOSPEPH GORDON-LEVITT ALLA SUA PRIMA REGIA CON DON JON COSTRUISCE UN PERSONAGGIO OSSESSIONATO DALLE ABITUDINE E DALLA PORNOGRAFIA

GENERE: commedia

DATA DI USCITA: 28 novembre

DURATA: 90’

VOTO: 3,5

Ogni cosa andrebbe chiamata con il proprio nome, vissuta fino in fondo per quella che è e affrontata senza schemi mentali. Spesso i dubbi, le paure, le insicurezze non fanno vedere quanta bellezza può nascondersi dietro un volto di donna, un regalo inaspettato o, per assurdo, dietro uno dei tanti errori che si commettono durante la vita. Queste ansie vengono sopite il più delle volte dalla superficialità, dall’apparenza e dai vizi che, in qualche modo, fanno da barriera contro la vulnerabilità di ognuno. La dipendenza, molte volte, va a sopperire per l’appunto una mancanza di qualcosa; non si parla solo di alcool, fumo, droga, sesso ma di una dipendenza più comune di quanto si possa credere: l’abitudine. Un abitudine scandita, come in questo caso, da un rassicurante e monocorde stile di vita: amici, palestra, casa, donne e pornografia.

Jon (Jospeph Gordon-Levitt), soprannominato Don, affronta la giornata sempre allo stesso modo, ha pochi punti di riferimento, è superficiale e un po’ grezzo. È, poi, un grandissimo latin lover (da qui il soprannome Don), infatti si porta a letto le ragazze più belle della discoteca, incitato dai suoi amici. Nonostante questo non trova soddisfazione più grande che masturbarsi con allegria davanti ad un numero incredibile di porno, visti continuamente, dalla mattina alla sera. Lo tranquillizzano, lo rilassano e lo fanno viaggiare di immaginazione contro una realtà che non è mai come quella che vorrebbe. Una sera, però, incontra Barbara (Scarlett Johansson), bellissima come nessuna, che lo metterà difronte ad una vita di coppia, per così dire, sbilanciata.

Joseph Gordon-Levitt scrive, dirige ed interpreta Don Jon, una pellicola che gioca continuamente, con intelligenza e umorismo, sulla difficoltà di esprimersi, sulle dipendenze e sulle contraddizioni di certi modi di vivere e pensare. La pornografia, che fa da conduttore principale di tutto il film, è mostrata e citata continuamente, assilla lo spettatore in maniera meccanica, ripetitiva, fine a se stessa e questo, leggendo bene, è quello che il porno si prefigge: crea plastica dalla realtà di un atto che non andrebbe mai preparato a tavolino. Il personaggio ideato da Gordon-Levitt è fondamentalmente un perdente, un Don Giovanni postmoderno, nato dall’accavallamento di gambe tra gli anni ’80 e ’90, dai continui bombardamenti socio-mediali che mettono il sesso al centro di ogni cosa.

Lui, come il senso del film stesso, sono lo specchio gretto dell’apparenza, del non voler prendersi le proprie responsabilità e del voler continuamente – ma lecitamente – vivere di sogni. Poco importa poi quali sono i sogni in questione, l’importante è capirne l’origine, la matrice ed il perché posso riempire dei vuoti d’animo ma, soprattutto, capire se sono o meno la cosa giusta da perseguire e, in caso siano nocivi, guarirne, magari con l’aiuto di un amore in cui perdersi. Alla fine, e senza fretta, si possono chiamare le cose con il proprio esatto nome e allora sì che il processo di maturazione personale e spirituale può dirsi completo. Prima di allora, però, non bisogna vergognarsi di nulla.

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