VEDERE IL SECONDO CAPITOLO DELLA SAGA FANTASY CON UNA FOLLA DI ADOLESCENTI È COME VIVERE IL FILM
Arrivare all’Auditorium la mattina e trovare centinaia di ragazzi e ragazze letteralmente accampati a lato del tappeto rosso è una bella sensazione. Mi dicono che molti sono addirittura lì dalla sera prima. Alcuni sono seduti sui plaid e giocano a scacchi, a carte, leggono, parlano, sfogliano I pad e scattano foto con i telefoni. Sono tutti qui per i protagonisti di The Hunger Games.
Chiedetemi quello che volete su Peppa Pig, Lego Chima, Spongebob, ma de La ragazza di fuoco so poco e nulla. I miei tre figli sono ancora troppo piccoli. Anche se, il primo film della trilogia l’ho visto alla pay tv con mio figlio “grande” (otto anni). Quel pomeriggio mi convince a guardare l’inizio, appena capisco di che si tratta provo a cambiare canale, ma implora di non farlo. “Non è adatto a te, è violento” gli dico. Raggiungiamo un accordo: durante le scene cruente cambiamo canale. Anche se francamente è la durezza e spietatezza della storia che mi inquietano, e per cui, post film, ho dovuto affrontare tutto il tema “il cinema di questo tipo è finzione pura, tutto inventato, nessuno mai al mondo farebbe un reality così cattivo, è un mondo immaginario”.
Lui era rapito, coinvolto, faceva il tifo. Poi si preoccupava di quelli rimasti nel distretto 12: “Avranno da mangiare mamma?”. Mi sono molto pentita di aver acconsentito a quella visione. Il film è bello, avvincente, effetti speciali da urlo e grandi attori. Mio figlio però era ancora troppo piccolo. Ma il punto non è questo. Il punto è che ieri, tornata a casa, mi dice: “Ho sentito alla radio che al Festival fanno Hunger Games 2, lo hai visto mamma?”. “Si”. “E quando mi ci porti”. “Non ti ci porto, è troppo cruento Johann”. “Mamma ma dai!! Guarda che io ho quasi 9 anni e il primo non mi ha fatto per nulla paura”.
Allora qual è il punto? Sono stata alla proiezione credo con circa mille adolescenti, ed è stata un’esperienza davvero forte. Non solo perché esultavano all’apparire dei loro beniamini, ma per l’assoluta, totale, incredibile empatia con cui partecipavano a quello che accadeva davanti ai loro occhi. Non erano più al cinema, erano a Panem, erano il popolo che si vuole rivoltare al potere assoluto, erano i concorrenti degli Hunger Games. Un’energia vitale così forte, così sincera.
Allora “la mamma al cinema” si pone delle domande. Saranno i libri così avvincenti da creare questa aspettativa? Saranno gli interpreti, belli, bravi, credibili? Saranno gli effetti speciali, la tensione emotiva, la storia d’amore…? Ma ragazzi, qui si parla di persone che per salvarsi devono ucciderne altre, di non potersi fidare di nessuno, perché in gioco c’è la vita, si tratta della morte come spettacolo.
Poi si, loro hanno letto i libri e sanno che il bene trionferà. Eppure un po’ di inquietudine resta.
La mia umile interpretazione, senza tirare in ballo massimi sistemi e psicologia da bar, è che l’identificazione con giovani eroi che mettono in gioco se stessi per salvare le persone che amano e per sconfiggere il potere tiranno, sia comunque sana. In un contesto di crisi, insicurezza sul futuro, una politica ridotta a circo mediatico, è un bene che i nostri figli si identifichino con degli eroi coraggiosi, piuttosto che con finti divi della tv, che se coraggio hanno, è solo quello di non vergognarsi di rendersi portatori di un messaggio: vai in tv e sei qualcuno.
No, io preferisco, per i miei figli, la fantasia, l’empatia, gli eroi mitici e il bene che trionfa. L’importante è alternare ad Hunger Games qualche romanzo di Jack London, William Golding, Italo Calvino. E qualche buon film europeo.
Ps: Per noi “grandi”, vedere Seymour Hoffman, Harrelson, Tucci, Shuterland in ruoli così, è una goduria.