YLENIA POLITANO SI CIMENTA CON UNA VISIONE PERSONALE DEL CINEMA…DAL PUNTO DI VISTA DI UNA MADRE: LEI
Il mio innamoramento per il cinema è avvenuto lentamente, a scadenza regolare, come con un amante che si frequenta una volta la settimana. E’ stato un incontro giocato sulla contrattazione. Era più o meno il 1979 e mio padre mi disse: “Da oggi noi due la domenica ce ne andiamo al cinema”. “Al cimena, papà? A fare che?”. Avevo 4 anni. “A vedere i film. Anzi, facciamo un accordo. La mattina un bel cartone per bambini, il pomeriggio un filmone con gli attoroni”. “Chi sono gli attoroni, papà?”. Clint Eastwood, Charles Bronson, Tyron Power, Marlon Brando. Ma anche Bud Spencer e Terence Hill non sono male, sono divertenti”.
Così, quando faceva troppo freddo per andare al Balon, il mercato dell’usato di Porta Palazzo di Torino, i film erano due: uno la mattina per bambini, uno al pomeriggio. Se invece si optava per il mercato si faceva una domenica ciascuno. Ai tempi i cartoni della Disney venivano riproposti a rotazione, con annesse presentazioni di non so che prodotti a fine proiezione, durante le quali noi ce ne andavamo via di soppiatto, ridendo.
Qualche volta ammetto mi sono addormentata vedendo i filmoni con gli attoroni, ma tante altre mi trovavo di fronte all’incanto di mondi lontani.
E poi Adriano Celentano. Si, anche lui. Quell’uomo che mi sembrava una scimmia mi era diventato familiare. Mio padre non snobbava nulla: passava dal b-movie italiano ai film d’autore, con una disinvoltura totale. Era un grande consumatore. Amava la sala, il rito delle caramelle. Poi la grande tragedia al cinema Statuto nel 1983. Proiettavano La Capra di Francis Veber, con Depardieu e Richard. Morirono 64 persone, la vittima più giovane aveva 7 anni. Sorte, quella domenica, noi non eravamo lì.
Io al cinema Statuto ci ero stata con mio padre e da quel giorno, per la verità, non è più stato lo stesso per molti anni. Ci posizionavamo vicini alle uscite, papà controllava le porte, prima di sedersi accanto a me. Poi il buio, la magia del cinema e la paura scompariva. Molti anni dopo al liceo, grazie ad un professore di lettere che ci proponeva pomeriggi di cinema d’autore, il primo incontro con Woody Allen: Manhattan. Una folgorazione. Poi l’università, l’esperienza all’estero, i film in lingua originale.
Se da una parte mio padre mi aveva iniziato al cinema, mia madre mi aveva coinvolta nel fascinoso mondo del teatro. Così, tra un film e uno spettacolo di prosa (non sarà comunque questa la contrapposizione che portò al loro divorzio), sono cresciuta. E ho sposato un attore. Uno di quelli che conosce i dialoghi dei film a memoria e che se gli chiedi cosa lo ha fatto innamorare di me, ti dice :“Quello che mi disse al primo appuntamento su La sottile linea rossa di Malick”.
Abbiamo tre figli. Quando mi chiedono cosa più mi è “pesato” nel periodo dei tre allattamenti a richiesta (cioè quando pareva loro senza intervalli regolari), rispondo: “Non andare al cinema”. E tutti mi guardano come fossi una marziana o una madre degenere. Così capita che il papà, spesso fuori per lavoro, quando invece c’è, resti con le tre simpatiche canaglie, che domandano: La mamma dov’è?
La mamma è al cinema.