My private zoo: cosa resta dell’apartheid in Sudafrica

MY PRIVATE ZOO E’ UNA LUNGA SOLITUDINE ESISTENZIALE, INDIVIDUALE E CULTURALE

my private zoo locandinaUna rapsodia in bianco e nero, scandita da una sinuosa partitura jazz, per raccontare le giornate di Anele, giovane artista schivo e solitario, nella sua Langa, la più antica township sudafricana. Le lunghe traversate in auto, i luoghi di incontro della comunità, i locali notturni e la loro vita brulicante mostrano una realtà in tutta evidenza, ma sotto si percepiscono tensioni profonde e indecifrabili. Questo è My private zoo di Gianni Sirch e Ferruccio Goia, ma anche un racconto di una lunga solitudine esistenziale, individuale e culturale, che ha caratterizzato la popolazione sudafricana nel periodo successivo all’apartheid.

My private zoo è la vita di un uomo che incarna un popolo lasciato a se stesso, che dopo la fine dell’apartheid non è riuscito a ricostruire una cultura dominante di massa, basandosi sulle ceneri della precedente, e facendo forza su quella solidarietà che li univa unicamente per la lotta allo sfruttamento. La narrazione silenziosa e malinconica fa empatizzare con il protagonista e la vita misera che conduce: disoccupato in un paese culturalmente poco avanzato, Anele si aggira per la città alla ricerca di qualche scatto artistico.  Ha trovato nell’arte una via d’uscita, una passione dove può rifugiarsi dalla noia e la pochezza della vita. Il suo compito sarà trovare le radici della sua cultura di appartenenza, gli Xhosa, e cominciare a incastrare i pezzetti di un puzzle sociale che sembra perso per sempre.

Grazie al gusto retrò dato dai i colori bianco e nero e le tonalità jazz che accompagnano il documentario, My private zoo è uno sguardo laconico su una questione che non ci si è mai posti. Si è sempre pensato con fretta e superficialità, che dopo aver messo un punto al regime dell’apartheid, la società civile sudafricana fosse tornata a respirare a pieni polmoni. Ma dopo anni di sudditanza, della supremazia del bianco, del progresso, come si può pensare di far andare avanti una civiltà completamente distrutta, a partire dalle sue solide radici?

Gianni Sirch e Ferruccio Goia dipingono un piccolo e breve capolavoro, tecnicamente perfetto, e che ti lascia con una riflessione davvero rilevante: “quante cose diamo per scontato, senza pensarci neanche per due minuti?!”.

 

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