ESORDIO DELUDENTE PER IL MUSICISTA CINESE CUI JIAN, CHE NON TRASMETTE IL ROCK NELLA SUA PRIMA OPERA AL CINEMA
GENERE: storico-drammatico
DURATA: 101 minuti
VOTO: 2,5 su 5
Dalla musica al grande schermo, un passaggio per niente scontato per chi non ha nelle corde certe sensibilità. Ma anche per chi, come Cui Jian, è sensibile ad entrambe le arti, essendo lui un musicista cinese che esordisce in regia con Blue Sky Bones, film dal titolo poetico, ma a cui diamo un voto basso per l’aridità di emozioni proposte.
Dopo tanto lavoro come attore sbarca al Festival Internazionale del Film di Roma con un’opera solenne, ma non ben amalgamata, una struttura narrativa che, divisa in tre parti che si legano tramite colore o genere musicale, fallisce nel suo connubio sincronico tra elementi diversi e nel dipinto di due complesse
Controversa è la storia d’amore che Jian vuole raccontare, l’elemento che lega soggetto e aspirazione verte sulla relazione intima di due giovani amanti tra Pechino e la periferia del “grande” impero cinese. Nel mezzo la rivoluzione culturale e la crisi telefonata, causa divergenze politiche inconciliabili.
Il mistero è nella scelta linguistica di adattabilità universale, quando il messaggio intrinseco è a chiare lettere tipicamente nazionalista. Quello che dovrebbe essere un punto di forza, diventa una distanza culturale incolmabile e una resa di stile che a livello musicale, passando dal genere country al pop, non decolla, né seduce al punto giusto.
Un mix che si lega al passato dell’autore, attraverso le principali tappe salienti della sua vita e ad un sotto-messaggio legato ad uno sviluppo sociale che tarda ad arrivare, nonostante la crescita esponenziale di un paese prolifico anche sotto il profilo artistico. La contemporaneità, rivissuta attraverso il dramma storico negli occhi di due giovani, non è sufficiente alla menzione d’onore. L’opera rock si fonde, sciogliendosi, al suono del metallo.