Roma Film Fest – Sorrow and joy: recensione film (Concorso)

L’ANALISI PSICOLOGICA DEI PROTAGONISTI DI UNA TRAGEDIA

GENERE: drammatico

DURATA: 107′

VOTO: 2,5 su 5

Tristezza e gioia. Due stati d’animo che accompagnano l’esistenza dell’uomo. L’uno esclude l’altro, si dice. Anche se c’è chi conviene che una vena di tristezza accompagni anche i momenti più floridi della vita. Attraversiamo continuamente il confine labile che si infila tra i due, a seconda dei periodi percepiamo l’uno o l’altro. Un momento di tranquillità, viene considerato felice. Un momento di completa confusione e sconvolgimento, viene considerato triste. Quando poi subentrano fattori esterni ad influenzare la nostra psiche, le emozioni non sono più gestibili nè nel primo né nel secondo caso. Questa è la condizione psicologica che sta alla base di Sorrow and Joy, film danese in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma, diretto da Nils Malmros.

La vicenda narrata si apre con una tragedia. Johannes (Jakob Cedergren) torna a casa dopo aver passato la giornata fuori, e trova i suoceri che lo aspettano. L’occasione è la peggiore: sua moglie Signe (Helle Fagralid) ha ucciso Maria, la figlioletta di 9 mesi. Inizia a questo punto un’indagine involontaria, un racconto che tra flashback e day-by-day ripercorre la vita dei due protagonisti, da quando si sono sposati a come possa essere successa una cosa così grave. Attraverso i dialoghi con lo psicologo che dovrà decidere la sorte di Signe, Johannes racconta di come la moglie abbiamo sofferto di depressione, tanto da aver provato a suicidarsi 10 anni addietro. La donna nell’ultimo periodo, aveva infatti manifestato i sintomi della malattia, dovuta alla gelosia che portava il marito lontano da lei e sempre in compagnia di giovani attrici.

Man mano che si delinea la storia del film, sembra di essere spettatori di una seduta dall’analista che include tutti i personaggi cruciali per la trama. Dal marito che si incolpa dell’accaduto per aver sempre messo davanti il suo lavoro da regista e non aver ascoltato la moglie, alla madre di Signe che non l’ha educata a dovere, per finire con il padre che si sente responsabile per essere il primo della famiglia a soffrire di depressione. Un’analisi psicologica poco convincente però, perchè assolutamente priva di qualsiasi realismo. Addirittura una scena vuole che i genitori degli alunni di cui Signe era la maestra, andassero dal marito con un foglio nel quale, attraverso le firme di tutti i genitori della classe, fosse stato richiesto di averla nuovamente nella scuola una volta uscita dalla clinica-carcere. Uno sviluppo a dir poco impensabile della storia, che lascia alquanto perplessi anche i più delicati nel giudizio.

L’ambientazione fredda, grigia e spenta, inoltre rispecchia bene i sentimenti che gli attori muovono allo spettatore. Se non fosse per alcune scene, dove un pizzico di passione nera viene messa. Alcune buone trovate nella sceneggiatura ci sono, ma quello che si prospettava come un thriller drammatico, non riesce nell’intento di coinvolgere nel susseguirsi della narrazione. Un’altra buona idea di partenza insomma, che si è persa nella sua realizzazione.

 

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