Something Good: recensione film

UN BUON THRILLER CHE PARTE CON UN’OTTIMA IDEA PER POI PERDERSI NEL FINALE

something good locandinaGENERE: thriller

DURATA: 111′

DATA DI USCITA: 7 Novembre 2013

VOTO: 3 su 5

Un thriller made in Italy, creato apposta per soddisfare e sbarcare anche sul mercato internazionale. Un tema, quello della sofisticazione alimentare, davvero interessante e nuovo tra i soggetti per il grande schermo. Una storia accattivante, tra un cattivo e una sua vittima inconsapevole, dal risvolto incerto. Bastavano questi di elementi, per attrarre e incuriosire circa il nuovo, precisamente il terzo, film diretto da Luca Barbareschi, Something Good. Un lavoro di genere che finalmente riporta il cinema italiano alla ribalta del cinema internazionale non solo per le commedie o i film drammatici, ma che perde ritmo nel momento in cui si decide di mettere da parte la crime story, per abbandonarsi ad una storia di redenzione, dove il bene trionfa grazie all’amore.

Matteo (Luca Barbareschi) lavora per delle organizzazioni internazionali, che speculano sull’illegalità dei prodotti alimentari. Prigioni, scuole e paesi del terzo mondo: quello che arriva nei loro piatti è cibo contraffatto più chimico e cancerogeno che autentico. L’importante in questo mondo è guadagnare, e se invece di mettere il latte si usa il gesso per creare latte in polvere per i bambini africani, qual è il problema? Il costo è minimo e l’appalto per la distribuzione del prodotto è sicuramente vinto. Una salda rete criminale che si estende dall’Italia alla Cina, dove Matteo si rifugia per sfuggire alla giustizia che per poco era riuscito ad arrestarlo. Sulla sua strada, per una pura casualità di vita, incontrerà Xiwen (Zhang Jingchu), che a causa di un succo di frutta confezionato con pesticidi ha perso il suo piccolo bambino.

La scena iniziale ti porta nel vivo della storia: sta per attraccare in Italia una nave cargo proveniente dalla Cina, quando il protagonista si accorge che la polizia li stava aspettando. Cambio di scena: siamo ad Hong Kong, tra grattacieli e bassifondi squallidi. Luogo perfetto nel quale incentrare una storia che si erge tra colpi di pistola, traffico illecito e internazionalità. Luca Barbareschi dirige quest’opera innovativa al meglio specialmente nella prima parte del film, dove la tensione si fa sentire e l’intreccio criminale che si delinea coinvolge davvero molto. Con una fotografia suggestiva e dai colori scuri e una colonna sonora pensata appositamente per le sequenze del film, appare un fiore all’occhiello nel panorama cinematografico italiano.

Il problema però sta nella seconda parte del film, dove il protagonista inizia ad analizzare la gravità delle sue colpe, e a capire che il sistema per cui lavora è spietato, esattamente come era lui prima di incontrare Xiwen. A questo punto il ritmo della storia rallenta invece di accelerare, i dialoghi sono più retorici e la narrazione appare a volte forzata, sensazione che si prova anche nella prova artistica di Barbareschi. La parte del duro che si redime per amore non gli riesce benissimo, non convince appieno e la fine probabilmente risulta scontata. Eppure è un film che desta attenzione, è un prodotto fresco e particolare, e proprio per questo forse ci aspettavamo più incisività, un’analisi più approfondita del rapporto tra politica e criminalità, invece che finire per puntare sulla storia d’amore.

Per rimanere in tema insomma, un piatto buono, al quale però andava aggiunto un pizzico di sale e pepe in più.

 

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