LA NASCITA E LA DISILLUSIONE DA UN’UTOPIA RACCONTATA IN HOME MOVIES
1957, Alfonsine uno dei tanti paesi dell’Emilia rossa distrutti dalla guerra. Sauro Ravaglia è un barbiere e con un gruppo di suoi amici sogna di visitare l’Unione Sovietica unico posto in cui il loro ideale trova terra fertile nel nome dell’uguaglianza, della fratellanza e della pace. La giornata mondiale della gioventù socialista diviene per l’uomo, allora ragazzo, e la sua combriccola la scusa per poter andare a Mosca e il viaggio viene tutto ripreso da una telecamera. Le immagini di allora, 56 anni dopo, sono state prese in prestito dai documentaristi Federico Ferrone e Michele Manzolini e trasformate nel docufilm Il treno va a Mosca composto quasi unicamente dal montaggio di quel girato, di quella utopica gita fuori porta e scandito dalla voce narrante di Sauro, il protagonista della grande avventura.
Il documentario diventa così un home movies da grande schermo che racconta la storia non solo di un viaggio ma anche all’interno di un’utopia e della disillusione di un’ideale che affronta la realtà della sua applicazione in un momento storico in cui il socialismo e l’Unione Sovietica erano le realtà sognate da chi sulla pelle portava le stigmate di una guerra.
Le parole chiave della sesta giornata della gioventù socialista erano Pace e Amicizia sostantivi in grado, all’epoca, di radunare 34.000 persone e di attirare l’attenzione di 13 paesi.
Oggi Sauro ha 81 anni: lo conosciamo attraverso la sua nuova realtà e le immagini che girò quando ne aveva poco meno di trenta e attraverso il film da lui girato del quale è la voice off non solo della sua esperienza ma di un’intera generazione.
Il lavoro di Ferrone e Minzolini è la sfumatura, il particolare-metafora, di un sogno universale mai realizzato e già allora utopico ma che ha smosso coscienze e viaggiatori. Un bell’affresco di un progetto mai potenzialmente attuabile in un’epoca in cui la politica voleva essere sinonimo, pretendeva di essere sinonimo, di Pace e Amicizia.