LA STORIA DI SA, UN’EROINA COME TANTE TRA RASSEGNAZIONE E SPERANZA
La settima arte riesce ad unire il labile confine tra la realtà e la finzione rendendo quasi invisibile il limite tra il vero e la fiction.
Ennesima dimostrazione di questa capacità che solo il cinema rende visibile agli occhi è il lungometraggio Karaoke girl diretto dalla regista thailandese dalle americane origini Visra Vichit Vadakan, lavoro ispirato da una storia vera e fulcro del docudrama della cineasta.
Il film è un romanzo di formazione che racconta di una ragazza, Sa, che a soli 15 anni lascia il villaggio in cui è cresciuta per trasferirsi a Bankok e mantenere la sua famiglia lavorando inizialmente per tre anni in fabbrica e poi passando a intrattenere i clienti – non solo con la sua voce – in un locale di karaoke.
La scelta, opinabile agli occhi dei più, della ragazza non può essere compresa facilmente o senza giudizio se non si mette in conto la grande verità: nel momento in cui un destino è scritto a chiare lettere che si invecchierà con la schiena piegata sui campi di riso e di caucciù tutto diventa lecito per cambiare ciò che sembra già sentenziato
Il film alterna momenti di pura fiction a passaggi documentaristici dove alcuni dei personaggi di contorno parlano raccontando della loro storia quasi come se fossero intervistati da qualcuno dietro la telecamera. I panorami che la regista immortala sembrano lo scrigno dorato e fasullo nel quale Sa vive convive tra speranza e rassegnazione forte della sua anima determinata. I paesaggi sono metafora dell’ossimoro che il lungometraggio racconta ma anche la contestualizzazione di una storia estremamente legata al luogo in cui è ambientata.
La scelta interessante di unire due generi cinematografici però spezza l’empatia tra il racconto e lo spettatore, empatia che sul finale rinasce legando indissolubilmente il pubblico a questa moderna eroina che mette in gioco, letteralmente, tutta se stessa per cambiare la sua condizione, non unica in un paese dove la prostituzione è una regola illegale. Il canto finale della donna riassume la sua condizione di scintillante vincente, liberando lei e l’applauso di chi la ammira.