HELIERE CISTERNE, PUR SBANDANDO TRA TROPPI GENERI NARRATIVI, RACCONTA IL PERCORSO DEL SUO PROTAGONISTA TRA PAURE E STREET ART
Se l’adolescenza non è la più facile delle stagioni della vita, benché sia la più rimpianta una volta finita, sicuramente per chi subisce dei cambiamenti continui nella propria quotidianità è ancor più complesso affrontare questa fase ,come nel caso di Chérif, madre francese e padre algerino, che proprio non si trova a suo agio con il nuovo compagno della donna. Il più banale grido dall’allarme di un giovane uomo che chiede aiuto nella complessa fase adolescenziale lo si può ascoltare nei suoi pessimi risultati scolastici, la maggior parte delle volte e, anche, nei casi più gravi, nella tendenza a voler chiedere attenzione attraverso atti di micro criminalità. Il grido d’aiuto del ragazzo viene immediatamente colto dalla madre di Chèrif che lo manda a Strasburgo dallo zio il quale è pronto a prendersi la responsabilità del suo infelice e scapestrato nipote e di vigilare su di lui durante il percorso di recupero nei servizi sociali che il ragazzo dovrà fare a causa dei suoi errori.
senza cadere mai nella retorica del diverso dirige un lungometraggio dove racconta attraverso le storie dei suoi personaggi la difficoltà di far parte di quella così detta seconda generazione in bilico tra due appartenenze. Il film avrebbe potuto facilmente puntare sulla solita storia di gioventù bruciata, del ragazzo ribelle che, nonostante i tentativi della famiglia, non vuole salvarsi e invece il cineasta ha portato il suo lavoro su strade molto meno banali. Strade con un forte respiro.
La giustificata eppure sbagliata rabbia di Chérif infatti viene placata, indirizzata, verso qualcosa di diverso dal male grazie a suo cugino che pur sembrando un ragazzo come tanti in realtà ha una doppia vita e di notte è membro a tutti gli effetti di una banda di writers gli Ork (le orche sembrano animali inoffensivi, ma si muovono in branco e sanno essere feroci).
Il sentirsi parte di una comunità, la sensazione di essere parte di qualcosa che non è in bilico, fanno ritrovare a Chérif una nuova vita, una nuova dignità, la persona che può essere.
Con una regia che si rifà moltissimo all’indie americano e una narrazione nonostante alcuni momenti di lentezza è sempre vive anche grazie alle belle immagini della street art, il cineasta francese racconta non solo la storia di un ragazzo maghrebino ma anche quella di un’intera generazione persa nella sua doppia identità che si può ritrovare solo sentendosi parte integrante di un gruppo.
Vandal è un racconto di formazione che scorre tra vari generi narrativi (dramma sociale, coming of age, in alcuni punti noir) che a volte sbanda ma comunque completa con grande grazie il percorso di un ragazzo che trova, dopo tanto sbagliare, il suo posto nel mondo e la propria identità sociale.