Il capitale umano: incontro con Paolo Virzì

PAOLO VIRZÌ: “IL CAPITALE UMANO INDAGA LA CRISI ECONOMICA DAL SUO DIETRO LE QUINTE”

A poco più di un anno da Tutti i santi giorni, Paolo Virzì torna sul grande schermo con una storia lontana dalla sua filmografia: un noir thriller tratto dall’omonimo romanzo di dello scrittore americano Stephen Amidon, che ha dato il suo benestare per la trasposizione, Il capitale umano che vede tra gli interpreti principali Valeria Bruni TedeschiFabrizio BentivoglioValeria GolinoFabrizio Gifuni e Luigi Lo Cascio.

Virzì questo è un film importante per lei, un genere nuovo. Tra l’altro la battuta finale (che non sveliamo) di Valeria Bruni Tedeschi indirizza la riflessione sul complesso periodo storico che stiamo vivendo. Materia difficile, com’è stato trattarla?

Allora, innanzitutto ringrazio Stephen Amidon per il bellissimo romanzo e i miei produttori che mi hanno dato la possibilità folle di strappare una storia così all’America per ambientarla in Brianza. Poi, è vero che il mio film si avvicina chiaramente a questo particolare e difficile periodo del nostro Paese, ma è vero anche che ci tenevo a farlo attraverso il racconto e la costruzione credibile di quei personaggi. Non voglio e non mi va mai di dare messaggini preconfezionati, è giusto che il cinema parli col linguaggio del cinema. E il romanzo mi ha permesso di sperimentare questa struttura a puzzle indagando la crisi economica dal dietro le quinte, nelle vite di questi personaggi. Per vedere anche sul campo i frutti sui giovani di questa costante cultura della competizione.

Quanto è diverso questo film dai suoi esordi? Da La bella vita?

Bah, La bella vita era in fondo anche quello un film che trattava di profonda disperazione. certo era un film molto grezzo, dove io ancora non padroneggiavo minimamente il mezzo cinematografico e mi esprimevo con frasi quasi comiche al mio direttore della fotografia. Ora dopo tanti anni io e il mio gruppo di lavoro abbiamo una conoscenza del linguaggio filmico molto più ampia e sofisticata. Spero si noti.

Voleva rifarsi a referenti in particolare? Ci sono molte suggestioni.

Beh certamente il romanzo è intriso di atmosfere tipiche di una certa America. Pur trasportandolo in Italia tutto questo si sente e i referenti cinematografici a certe ambientazioni noir ci sono. Poi anche un certo cinema europeo mi è venuto in mente, Chabrol per esempio. Insomma, volevo fare qualcosa di nuovo. Io poi paradossalmente mi trovavo veramente ad essere un estraneo in quegli ambienti, non avevo mai ambientato un mio film più su di Pisa, la Brianza era un posto molto misterioso per me. Ovviamente è stato scelto anche perché il personaggio di Fabrizio Gifuni è un uomo di borsa, opera a Milano.

Cosa rimane allora della sua vecchia etichetta di erede di Dino Risi?

Ma io conosco bene Marco (Risi) e non ho mai voluto intaccare la sua legittima eredità (ride). Diciamo che mi sentivo onorato ma è chiaro che il percorso del cinema di oggi è diverso e ci si “sporca” di più con mille altri linguaggi.

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