Lo Hobbit – La Desolazione di Smaug: la recensione

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locandina_lo_hobbit_la_desolazione_di_smaugLO HOBBIT – LA DESOLAZIONE DI SMAUG, PETER JACKSON CI RIPORTA NELLA TERRA DI MEZZO CON UN SECONDO CAPITOLO ALL’INSEGNA DEL CORAGGIO, DELLE SCELTE E DELLA PAURA

GENERE: fantasy
DATA DI USCITA: 12 dicembre
DURATA: 161’
VOTO: 3 su 5

Il terrore che si annida nell’ombra, la paura e l’oscurità che inghiottono la luce ed il bisogno certo di annientare il male a costo di sacrificare molto se non tutto guardando alle proprie responsabilità legate a quelle degli altri per salvaguardare il bene, la pace, l’armonia. Questo e molto altro si legano all’istinto che scavalca il coraggio, all’abnegazione che offusca la vera ragione delle azioni e, imprescindibilmente, ad un Re che è disposto a qualsiasi atto pur di tornare sul legittimo trono e ridonare al suo popolo la quiete, la bellezza e lo splendore dei giorni che non ci sono più, bruciati e desolati da un fuoco malvagio che, prima o poi, è destinato ad incombere su tutti. Il valore di un uomo si misura dalla nobiltà delle sue azioni e in un tempo cupo il confine tra una scelta giusta e sbagliata è estremamente labile.

La strada verso la Montagna Solitaria nel regno di Erebor è ancora lunga, la Compagnia capitanata da Gandalf (Ian McKellen) e Thorin Scudodiquercia (Richard Armitage) è caparbia, ardita e determinata. Lungo il cammino, però, i Nani si imbattono prima nella Foresta del bosco Atro e poi negli Elfi della Foresta per poi arrivare a Lake-town dove da lì si dirigono verso la Montagna Solitaria in cui Bilbo (Martin Freeman) dovrà tirar fuori tutto il suo coraggio per recuperare l’Arkengemma dalle grinfie del drago Smaug.

La Terra di Mezzo, creata dalla penna di Tolkien e raffigurata dalla cinepresa di Peter Jackson che ne ha forgiato una trilogia senza paragoni, è uno stato mentale, un luogo metafisico in cui giostrano creature di ogni tipo, un macrocosmo in cui l’immaginazione può davvero essere tangibile e reale e dove c’è una bellezza di spirito e luoghi incommensurabile, quasi etera che, per certi versi, ricorda l’Eden biblico. Adesso, Jackson, ormai divenuto tutt’uno con il mondo tolkieniano, con Lo Hobbit, cerca di ricalcare gli stessi orizzonti e le stesse tematiche dei suoi precedenti film, costruendo quasi un ponte tra la nascita del Male alla battaglia definitiva della Compagnia dell’Anello.

Giunti a metà cammino ne Lo Hobbit – La Desolazione di Smaug il passo si fa pesante, ansioso, pericoloso; il sentiero da seguire è tortuoso e minacciato, i personaggi sono tormentati e stanchi, pervade l’angoscia, bruciano le loro anime, il fuoco invade le montagne silenti e la luna bagna le ombre di un cielo in tumulto, minacciato da un male che serpeggia nel mondo e che si fa sempre più cattivo, potente, disumano. Il secondo capitolo de Lo Hobbit è un vero e proprio ”passaggio”, sia per stile che per linguaggio, abbandona le teorie paurose del primo film per gettarsi letteralmente nella bocca dell’azione, quasi ciecamente, quasi disperatamente, perché, per i protagonisti (e per lo spettatore), non c’è più tempo per aspettare; Jackson forgia un film pomposo ma massiccio pur avendo nella storia il blocco di una pellicola che ha estremamente bisogno di una conclusione che tarda ad arrivare. Ovviamente il percorso catartico è ancora lungo, manca l’ultimo tassello, ma qui le basi per un futuro noto e distruttivo sono state gettate, restando in bilico, sussurrandone la paura, guardando negli occhi un nero infermo che scalfisce e mette al muro, addirittura, la purezza esplosiva di una luce che, nonostante questo, continua a cercargli quel punto debole che equivale ad una fede sempre più spaventata.

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