VALERIO DI BENEDETTO, PAROLA ALL’ATTORE ITALIANO
Abbiamo intervistato Valerio Di Benedetto, attore italiano al suo debutto sul grande schermo in Spaghetti Story, film indipendente di Ciro De Caro, nelle sale italiane dal 19 Dicembre. Dopo anni passati sul palcoscenico del teatro, sbarca ora al cinema ed ha già in progetto una serie, di cui ci ha raccontato qualche dettaglio.
Come è stato essere diretto dall’esordiente Ciro De Caro e come è nata la vostra collaborazione?
Con Ciro è nato tutto nel 2009. Io studiavo insieme a Rossella (D’Andrea – attrice e cosceneggiatrice del film) e lo incontravo spesso a fine lezione. È nata subito una forte simpatia tra noi e ci siamo ritrovati spesso le domeniche a vedere il campionato, ma più per stare insieme che per il calcio in sé. Poi il primo lavoro (Salame Milanese) a cui ne sono seguiti altri due (Salame Milanese – La Serie), poi uno spot e infine il film. Si dice che dietro a un grande artista c’è sempre un grande uomo. Questo è il suo caso. L’onestà con cui ha portato avanti la causa del film, la coerenza nelle scelte, per me sono un esempio. Oggi sono abituato a vedere gli ostacoli, le difficoltà come possibilità di crescita, di evoluzione e non come impedimenti, e questo l’ho imparato da lui. Ci ha dimostrato concretamente, con Spaghetti Story, come mettere in pratica questa filosofia di vita. Sul set era tutto molto semplice, le indicazioni erano poche e chiare. Lui sapeva perfettamente cosa voleva e come riuscire ad ottenerlo, ed è una fortuna lavorare in questo modo, e purtroppo una rarità. I personaggi erano stati scritti talmente bene che come attori abbiamo avuto a disposizione tutti gli strumenti per costruirci la gabbia del personaggio all’interno della quale muoverci, permettendoci anche di rasentare l’improvvisazione, e Ciro ci lasciava questa libertà, la ricercava, e bastava quella parola, quell’esempio giusto per farci capire all’istante la direzione da prendere. Anche perché altrimenti non saremmo riusciti a girare il film in undici giorni, con una media di otto scene al giorno, e quattro ciak a scena.
Nel film il tuo rapporto con Cristian Di Sante è molto forte, i tempi della recitazione sono perfetti. Al di fuori del set qual ‘è il vostro rapporto?
Cristian è stato un compagno ideale, perfetto! La nostra affinità però è nata sul set. Cristian Infatti lo ho incontrato solo due volta prima dell’inizio delle riprese: la prima volta per la consegna della sceneggiatura (dove incontrai per la prima volta anche Sara Tosti) e una seconda volta a casa sua per provare un po’ le scene e capire i nostri personaggi come funzionassero insieme. Ma Ciro era contrario, diceva che le prove avrebbero tolto quella spontaneità e verità che avremmo avuto semplicemente affidandoci alla sceneggiatura. Aveva ragione. Ci siamo ritrovati così ad affrontare delle scene di complicità e affinità senza averne creata una prima. Giocavamo a memoria senza aver mai provato gli schemi. Non mi era mai capitato prima con un altro attore. Ora siamo molto amici e dopo il film si sono creati dei legami fortissimi con tutto il cast, e questa la considero una vittoria al pari dell’uscita in sala.
Come il tuo alter ego nel film senti il peso dei 30 anni e della fatica di un mestiere, quello dell’attore, seppur bellissimo, molto spesso difficile?
No e non capisco perché si debba sentire il peso dell’età! Credo sia strettamente consequenziale a delle insoddisfazioni personali e/o lavorative, e spesso questi “sentimenti” sono filtrati e indotti da una società che ti ricorda in ogni momento che a 30-35 anni se non hai raggiunto i tuoi obiettivi sei un fallito, ma poi non ti dà la possibilità di emergere e di metterti in gioco. Questo controsenso però, secondo me, decade nel momento in cui si ha ben chiaro cosa fare da grandi , e allora anche il mestiere più ostico e difficile del mondo risulterà concreto. L’importante è questo, aver chiaro l’obiettivo. Poi il tempo è soltanto un cammino verso la propria realizzazione. Ognuno ha il suo di tempo. Io ho imparato a non vedere più l’età che avanza come un nemico, ma come un alleato. Non ho rimpianti, rifarei tutto da capo, soprattutto gli errori. Quello che sono oggi è la somma di tutte le esperienze fatte in passato.
Come credi che la nostra generazione possa uscire da questa crisi e la conseguente apatia che il film descrive ma che fanno parte della realtà?
La crisi che ha colpito il paese secondo me, è culturale, l’aspetto economico viene dopo. Quello di cui abbiamo bisogno oggi è soltanto il coraggio, e il coraggio di agire. Agire di fronte alle difficoltà, alle paure, agli impedimenti che la società ci pone davanti. “Spaghetti Story” è il coraggio di agire.
Vuoi raccontarci qualcosa del tuo ultimo progetto, “Dylan Dog vittima degli eventi”?
È presto per parlare di Dylan Dog, anche perché fino a marzo-aprile non si vedrà nulla. Sono curioso e scalpitante come molti fan, solo con un pizzico di agitazione in più. Anche Dylan Dog, come Spaghetti Story, incarna perfettamente il coraggio di cui parlavo prima. Nasce da un’esigenza forte di raccontare una storia inedita, di omaggiare una figura importante della nostra infanzia, e di dare al pubblico un prodotto diverso, innovativo. Mi piace pensare come questi due progetti siano il punto di partenza di un rilancio culturale del paese, e averne preso parte mi rende veramente molto orgoglioso.
Quanto pensi che sia importante il crowdfunding affinchè anche prodotti indipendenti possano avere vita?
Se si abbassasse lo scetticismo e il pregiudizio potrebbe essere veramente un punto di svolta! Se gli utenti iniziassero a finanziare i progetti in cui credono, in cui vedono qualità e professionalità, di certo si creerebbe un mercato parallelo che andrebbe a contrastare le major. Un mercato libero, forse, senza “cartelli”. E di certo più meritocratico.