Venezia 70 – Moebius: recensione film (fuori concorso)

LA POETICA DEI RAPPORTI UMANI COME INTESA DA KIM KI-DUK LASCIA LO SPAZIO AD EFFERRATEZZE GRATUITE E APPARENTEMENTE SENZA SENSO

Capita che un regista dopo il successo di un’opera si adagi e decida col suo lavoro successivo di dedicarsi a un film diverso da quello precedente, andando in strade impervie a costo di deludere i fan: il peggiore caso è quello di Sorrentino che dopo il successo de Il divo ha deciso di lasciarsi andare completamente allo stile per un’opera fastidiosa come This must be the place. Kim Ki-Duk dopo il Leone d’oro ricevuto l’anno scorso per Pietà ha fatto un’operazione simile e difatti sembra quasi che il suo pensiero prima di fare questo film sia stato: Ora che i festival di tutto il mondo mi amano, posso fare quello che mi pare. Ed è solo così che si spiega il disastro Moebius.

Senza dilungarsi troppo nella storia (un rapporto extraconiugale di un uomo si ripercuote drammaticamente sul destino di una famiglia), il film sembra essere una fiera del cattivo gusto, tale da rendere Moebius il classico titolo scandaloso da Festival.  Ki-Duk, durante la sua carriera, è sempre stato a cavallo tra piccoli film intimisti e poetici che analizzassero le dinamiche dei rapporti umani e film più crudi in cui l’individuo si scontrava con la durezza della società che lo circonda. Con questo titolo l’autore coreano cerca di coniugare questi due universi, scegliendo per altro la strada di non scrivere alcun dialogo: il film è infatti interamente muto. Se tale opzione puo’ risultare all’inizio intrigante, ben presto si scopre che ciò a cui si assisterà per la prossima ora e mezza è una serie di quadretti in cui si alternano castrazioni, accoltellamenti, stupri di gruppo e chi più ne ha più ne metta, per il semplice gusto di mettere a disagio lo spettatore.

Il greco Miss Violence, visto sempre al Festival, sapeva essere duro, riuscendo anche ad esplorare una tematica interessante, come quella di una famiglia totalmente succube del padre, mettendo in mezzo anche il problema di un paese colpito da una profonda crisi, non solo economica. Qui invece tutto avviene senza un senso preciso e l’inserimento di una scena demenziale nell’arco di una storia senza alcuna speranza non puo’ che favorire quest’ipotesi. E uno non puo’ credere che uno che ieri era uno degli autori più apprezzati del cinema asiatico si sia ridotto così. Non è umanamente possibile.

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