RIPERCORRIAMO LE ORME DI UNA ATTRICE TRA LE PIU’ “AVANTGARDE” DELLA HOLLYWOOD CLASSICA
Il Sessantotto, con tutti i cambiamenti che porta nel mondo, segna soprattutto un punto di svolta per la condizione femminile: in America una nuova ondata di femminismo esprime la profonda insoddisfazione delle donne appartenenti alla classe media, rinchiuse tra le mura domestiche da un ideale stereotipato, condannate alla passività sessuale e alla frustrazione delle proprie ambizioni lavorative.
Il mondo del cinema non fa eccezione e, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, anche Hollywood viene investita dalla cosiddetta second-wave feminism: l’accusa è quella di aver contribuito all’oppressione delle donne per decenni, attraverso la diffusione di stereotipi sessisti. Le femministe per la prima volta danno voce attivamente al loro sdegno nel campo delle arti e, organizzandosi in collettivi, cominciano a dar vita ad una cinematografia femminile, affermandosi con idee originali nel campo degli studi e delle ricerche sui film.
Certo le donne che potessero vantare una posizione e una libertà tali da portare nella cinematografia statunitense idee rivoluzionarie non erano molte in quegli anni, ma tra le prime che abbiano affrontato con onestà l’argomento della condizione femminile si deve ricordare Barbara Loden.
Attrice di teatro e cinema, membro dell’Actors Studio, la Loden fu la seconda moglie del regista Elia Kazan, da cui ebbe un figlio. Il suoi ruoli più noti forse rimangono proprio quelli recitati per il marito, nel film Splendor in the grass (1961) e nella produzione teatrale After the fall (1964): una versione romanzata del fallito matrimonio tra Marilyn Monroe e Arthur Miller scritta da Miller stesso, in cui Barbara interpretava Marilyn.
Nel 1970 la Loden scrive, produce, dirige e interpreta il suo primo film indipendente, Wanda. Ispirata da un articolo di giornale, la trama della pellicola segue le vicende di una giovane donna che, incapace di adattarsi al ruolo di moglie e madre, abbandona la propria famiglia e cade in una spirale di apatia autodistruttiva. La sua vita subisce però una brusca svolta quando conosce un piccolo criminale del luogo che la coinvolge in un tentativo di rapina in banca.
La caratteristica pricipale del film, che rende Barbara Loden una pioniera del cinema al femminile, è la sperimentazione visiva con cui viene mostrato il mondo interiore della protagonista: prostrata, la vediamo proteggersi nascondendo le proprie emozioni e ostentando noncuranza nei confronti della vita, ma il suo dramma traspare da ogni gesto. Wanda si interroga su quale destino possa attendere la donna che rifiuti l’unico stile di vita ammesso dalla società.
Estremamente innovativo nel panorama americano di quegli anni non solo per il suo stile da cinéma vérité, simile alle opere di registi europei come Bresson, ma soprattutto per il fatto di essere diretto da una donna, il film ebbe un discreto successo all’estero, vinse il Premio della Critica Internazionale al Festival del Cinema di Venezia nel 1970 e venne presentato al Festival di Cannes nel 1971. Purtroppo la Loden morì pochi anni dopo, per cui Wanda resta il suo unico film.