CHARLIE COUNTRYMAN, LA RECENSIONE IN ANTEPRIMA
DURATA: 105′
VOTO: 2 su 5
“Quando si perde qualcuno che è la tua casa nel mondo, quando succede dovresti pensare: cazzo, dovrei averne una di riserva“. Una casa, il nostro posto nel mondo. Una casa è quando ci sentiamo vivi, quando le persone di cui ci circondiamo ci fanno sentire completi, quando la nostra vita in quel posto e in quel momento è, tra alti e bassi ovviamente, gratificante. Ma quando le carte in tavola cambiano, e il gioco non vale più la candela, vuol dire che è siamo arrivati nel punto in cui dobbiamo darci una risistemata per trovare un nuovo equilibrio esistenziale, magari altrove.
E cosi vanno le cose per Charlie (Shia Labeouf), che nel momento in cui muore la madre, il suo fantasma gli consiglia di andare a Bucarest, senza un apparente motivo, e di ricominciare a vivere li. Biglietto di sola andata alla mano, il giovane parte alla volta della città romena, dove, tra una serie di coincidenze surreali, attraverso morti e fantasmi che gli dicono cosa fare, conosce Gabi (Evan Rachel Wood), bellissima violoncellista dell’Orchestra dell’Opera della Capitale, ex sposa di un capo della malavita locale, che è tornato per chiudere violentemente i conti con il suo passato. Charlie si troverà quindi coinvolto in una corsa contro il tempo per placare l’escalation di violenza in atto e poter vivere finalmente il suo momento d’amore.
Charlie Countryman di Fredrik Bond, alla sua prima opera dietro la macchina da presa, seppur con un interessante soggetto non convince affatto. La buona idea di partenza, l’opposizione tra surreale e realismo, finisce per essere una sfrenata avventura nei loschi sobborghi di una Bucarest punk, riducendosi ad una banale lotta tra bene e male, sapendo già come va a finire. Qualche colpo di scena e una fotografia davvero suggestiva portano calore ad un film che pero stenta a decollare. È un thriller senza troppa suspense, fortunatamente con un ritmo vivace che permette di chiudere velocemente l’ora e mezza di storia.
Il problema serio però è nella sceneggiatura piatta e poco coraggiosa, che stravolge la narrazione classica del thriller lasciando uno spazio troppo ampio alla storia d’amore. Anche i dialoghi sono insipidi e carenti di sostanza vitale, specialmente nei momenti intimi tra i due ragazzi, che lasciano davvero perplessi per la totale assenza di concretezza e la salsa trita e ritrita. Shia Labeouf riesce comunque a dare una valida performance ad un personaggio sognatore che la vita mette a dura prova, non facendosi annientare dalla serie di eventi negativi che continuano a perseguitarlo.
Ma quando le difficoltà sono proprio alla base, diventa complesso strutturare e far funzionare tutto il resto. E di certo non è questo il caso riuscito.