Gli Oscar: grandi delusioni e grandi sconfitte

DA QUARTO POTERE A GUERRE STELLARI FINO A GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK; L’OSCAR NON METTE MAI D’ACCORDO NESSUNO

Durante la Notte delle Stelle, molto spesso, accade di tutto: non c’è mai una certezza e la parola variabile aleggia preponderante tra i lunghi strascichi degli abiti, i flash dei fotografi e la paura incessante di non stringere nelle mani l’ambita – e chi dice il contrario mente – statuetta dalla forma umana, muscolosa e turgida. 24 carati di splendore che racchiudono in essere l’immortalità di un gesto, di un traguardo o di una partenza, di un riconoscimento dato dal cinema al cinema stesso.

L’Academy Award of Merit è, per l’appunto, l’Oscar, mela della discordia, altare empatico per tanti, molti attori, registi e maestranze che attendono speranzosi il nome impresso nella busta chiusa; dal 1929, ogni anno, l’America aspetta silente una delle cerimonie più belle che lo spettacolo sa orchestrare; un tripudio di colori, luci, glamour, stile e bravura solcano il red carpet più importante di tutti: una festa all’interno dei sogni che solo la cinematografia sa coniare. Dagli anni ’30, dunque, Los Angels consacra divi, pellicole e storia; questi tre elementi attraversano verticalmente l’umanità e ciò che di riflesso vive in quell’esatto periodo storico: Via Col Vento e L’Eterna Illusione, Clarke Gable e Bette Davis e poi ancora la Seconda Guerra Mondiale di Casablanca, Kennedy e la Guerra Fredda fino alla Nuova Hollywood di Scorsese, Coppola e Spielberg, schifata e poi osannata; la fine dei grandi kolossal con gli undici Oscar a Titanic e l’attuale pragmatismo che caratterizza gli anni correnti. Sì, durante la lunga e avventurosa storia degli Oscar, per parafrasare il libro di Casalini-Ligato, si scrivono e si riscrivono i miti a suon di gioie meritate e sconfitte brucianti.

Infatti, a nemmeno quindici anni dalla prima edizione,  arriva una delle tante discutibili scelta della giuria: nel ’41 Rebecca di Hitchcock vince l’Oscar come miglior film a discapito de Il Grande Dittatore di Chaplin; ovviamente, va detto, che il Maestro del Brivido non ha mai vinto l’Oscar come miglior regia e queste, così come la ”riabilitazione” di Chaplin avvenuta solo con l’Oscar alla carriera ad inizio anni ’70, sono due dei più grandi colpi di scena che l’Academy abbia mai congeniato.

Nel ’42, invece, il manuale del cinema Quarto Potere si vede scippare la statuetta da John Ford con Com’era verde la mia valle; Orson Wells scrive e dirige, a detto di tutti, forse il più grande e rivoluzionario capitolo della storia dei film ma che è stato bistrattato dall’Academy preferendogli la classicità autoriale e narrativa tipica americana di John Ford. Quarto Potere non avrà vinto l’Oscar ma è di sicuro l’opera che più ha influenzato il modo di fare cinema e, ancora oggi, è la pellicola omnia che possiede la spiegazione al linguaggio dell’audiovisivo. Con il senno di poi, l’Oscar, sarebbe stato un accessorio.

Un altro grande, immenso autore che l’Academy ha sempre emarginato è Stanley Kubrick; 2001: Odissea nello Spazio non è mai stato nominato, Arancia Meccanica sconfitto e Shining nemmeno considerato. Kubrick non ha mai vinto l’Oscar per la Miglior Regia. Kubrick. Un’altra icona che non è mai stato insignita del più alto riconoscimento. Proseguendo, poi, vanno sottolineate le sconfitte de Il Laurato, di Guerre Stellari e Toro Scatenato; ancora tiene banco il dibattito se fosse stato più giusto premiare Taxi Driver invece di Rocky nel ’77; clamorosa la sconfitta di Apocalypse Now nel ’80 e quella di E.T. nel ’83.

La lista, lunghissima, si protrae fino ai giorni nostri: storica l’edizione degli Oscar del ’95, forse una delle più ricche di sempre, Forrest Gump vince (comunque meritatamente) contro titoli come Pulp Fiction, Le Ali della Libertà e Quattro Matrimoni e un Funerale; nel ’97 opinabile vittoria de Il Paziente Inglese che batte Fargo e Jerry Maguire e, ancor più assurdo, l’Oscar a Shekspeare in Love quando in lizza c’era Salvate il Soldato Ryan (che ricevette comunque la Miglior Regia) e La Sottile Linea Rossa. Gli anni postmoderni del nuovo millennio si aprono con l’eccellente American Beauty, proseguendo, ancora positivamente, con Il Signore degli Anelli: il ritorno del Re che trionfa nel 2004; Crash, invece, nel 2006, batte inspiegabilmente Good Night, and Good Luck di George Clooney ma, finalmente, nel ’07, Scorsese con The Departed convince l’Academy, portandosi a casa l’Oscar come Miglior Regia e Miglior Film.

Le scelte, diciamo, politiche-istituzinali-linguistiche dell’Academy sono poi state accentuate nelle ultime quattro edizioni: se pur l’Oscar sia andato a film bellissimi e importanti come The Hurt Locker, Il Discorso del Re, The Artist e Argo si è vista una mancanza di coraggio nelle scelte che hanno penalizzato pellicole come Bastardi Senza Gloria o Precious, Inception o Toy Story 3, L’Arte di Vincere o, ancora una volta, Tarantino con Django Unchained.

Certamente, c’è da dire, che l’Oscar, in se per se, significa anche interpretare il senso stesso di vittoria e sconfitta, capendone – qualora ci fosse – il significato di due fattori fondamentali e imprescindibili della vita: grandi, grandissimi autori hanno ottenuto questo riconoscimento più e più volte, altri, altrettanto grandi, hanno sempre rincorso quei trenta secondi di ringraziamento che rappresentano il sunto più o meno onesto di un’intera carriera. Il cinema, d’altro canto, crea sogni e Hollywood ne è l’es fondamentale, quello che non ha barriere e che può tutto, oltre qualunque immaginazione: l’Academy Award è, per gli interpreti del sogno, la realtà di qualcosa che va oltre tutto e che li mette in correlazione con il mondo vero, accorciandone le distanze for your consideration.

 

Damiano Panattoni 

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