“DALLAS BUYERS CLUB E’ UN FILM CHE RIMANE ATTACCATO ALLA PELLE DELLA GENTE”, MATTHEW McCONAUGHEY RACCONTA DALLAS BUYERS CLUB
Candidato agli Oscar come miglior attore protagonista per Dallas Buyers Club, Matthew McConaughey è un attore che, nonostante sia da anni sulla scena, ha mostrato, in tutto il suo splendore, le sue capacità artistiche solo di recente e, con le sue ultime interpretazioni che vantano anche una parte in The Wolf of Wall Street si è meritato, a tutti gli effetti, un posto importante nell’Olimpo delle star Hollywoodiane.
Occhi chiari, sguardo gentile e legatissimo alla moglie alla quale deve la tranquillità giusta che l’ha aiutato ad arrivare a tale successo, McConaughey oggi è un quarantenne felice e soddisfatto della sua vita e dei ruoli, complessi, che uno dopo l’altro si avvicendano in questa seconda, spettacolare, fase della sua carriera.
Il successo di Dallas Buyers Club è stato immenso ma inizialmente la genesi del film non è stata così semplice…
È vero: la sceneggiatura ha girato per 20 anni ed è stata rifiutata ben 137 volte, tante volte i finanziamenti sono stati trovati e poi sono spariti. Anche per quello che ci riguarda, visto che abbiamo impiegato 5 anni per trovare i finanziamenti e poi abbiamo avuto problemi di soldi 5 settimane prima delle riprese.
Come mai, secondo te, il film spaventava i produttori?
Ci sono molte ragioni che hanno portato a rifiutare la sceneggiatura nel 137 volte. Quando uno rifiuta pensa che vogliono almeno rifarsi dei soldi spesi e quando leggevano ‘dramma su HIV’, ‘eroe omofobico’, pensavano che i soldi spesi non li avrebbero rivisti.
Come è stato affrontare un personaggio come Ron?
Ron ha tanta rabbia dentro di sé e contro tante cose, deve lottare contro la morte, contro i medici, contro la FDA (Food and Drug Administration). La sfida principale per interpretare questo personaggio è stata mostrare tutta una serie di variazioni sul tema della rabbia per non dare una rappresentazione troppo ripetitiva. Ho dovuto cercare di mostrare la rabbia da diverse prospettive e angolazioni.
Qual è la caratterizzazione del personaggio di Ron che fai tatto tua? E come è stato il lavoro degli altri attori sul set?
Per quello che riguarda la lezione di vita che ho appreso da Ron è che se vuoi qualcosa, fattela da solo. Per quello che riguarda il rapporto con gli altri attori, Jennifer Garner la conoscevo perché ci avevo già lavorato insieme, Jarer (Leto ndr.) non lo conoscevo, ma ci siamo incontrati davvero solo dopo la fine delle riprese, prima di quel momento non c’è stato nessun incontro, non ci interessava chiacchierare e condividere un bicchiere di vino. Io tutti i giorni incontravo Rayon e Rayon incontrava Ron. Non avevamo tempo per altro, ed è il bello di questo mestiere, quando sei un attore, vivi in qualcun altro. In quei 25 giorni in cui abbiamo lavorato guardavamo nel nostro mondo, il resto non ci interessava.
C’è stato anche un grosso cambiamento fisico che hai dovuto affrontare per interpretare Ron…
Sì, ho perso 23 kg stata una cosa che io ho fatto con grande precisione, innanzitutto mi sono consultato con un medico, l’idea era perdere una ventina di chili e mi sono dato 4 mesi (circa un chilo e mezzo o due a settimana), mi sono rinchiuso, non sono mai andato a pranzi e cene fuori, e mi sono circondato di tutte le cose di cui si sarebbe circondato Ron. Per quello che riguarda la perdita di energia, la cosa sorprendente era quanta più energia perdevo dal collo in giù, tanta più ne acquistavo dal collo in su. Avevo innanzitutto bisogno di meno ore di sonno, indipendentemente dall’ora in cui andavo a dormire mi svegliavo alle 4 del mattino, e avevo una carica, una grande energia. La stessa cosa è successa a Ron, quanto più dimagriva, tanto più la sua mente acquistava energia. Ho guadagnato potenza.
Quando hai cominciato a interessarti al progetto?
La sceneggiatura è arrivata sulla mia scrivania 5 anni fa, 4 anni prima che riuscissimo a realizzare il film. Quando è arrivata non c’era nessuno coinvolto nella realizzazione, neanche il regista, ma io mi sono detto: “devo farlo”. La prima volta, 5 anni fa, è slittato tutto all’anno successivo. Una volta letta la sceneggiatura la prima cosa che ho scritto sulla copertina è stata: “Questa sceneggiatura ha le zanne e io mi sento azzannato”. L’anno in cui siamo riusciti a realizzare il film era gennaio e io mi sono detto che entro l’autunno avremmo dovuto realizzarlo. Quell’anno ci siamo incontrati con il regista Jean-Marc Vallée a New York, lui ha detto ‘ci sto’, anche io ho detto ‘ci sto’ ma i soldi non c’erano. Ma non abbiamo mollato, e questo fatto di non cedere è stata la spinta a realizzare il film. Sono arrivati i soldi ma 5 settimane prima delle riprese sono spariti, e io avevo tra l’altro già perso 20 kg! Abbiamo pensato di farlo lo stesso, io ero già dimagrito, siamo andati avanti lo stesso e alla fine ce l’abbiamo fatta
Parliamo di Oscar: sei stato nominato con i tuoi colleghi di The Wolf of Wall Street…
Sull’Oscar posso dire che si, io ho fatto anche The Wolf of Wall Street, ma ho lavorato in quel film solo pochi giorni, sono stati candidati Jonah Hill e Leonardo DiCaprio che, tra l’altro, di candidature ne ha già collezionate tante. Ti racconto una storiella, quando ho scoperto che Martin Scorsese mi voleva incontrare per offrirmi un ruolo, mi sono ricordato di quando nel 1992 frequentavo un corso di cinema all’Università. Lì ho studiato Scorsese, e quando mi stavo dirigendo verso casa sua, ho pensato: “questo è il tizio che io studiavo e ora mi stanno portando da lui!”. Ho notato soprattutto due cose, la prima è che ha una profonda conoscenza del cinema, la seconda è che ama molto le parti divertenti nei film. Mi è stato offerto questo piccolo ruolo nel suo film, io ho provato, poi sono andato da lui a cui è piaciuto immediatamente e, dopo 5 riprese, abbiamo girato quella scena in una sola mattina ed è stato molto divertente.
Cosa pensi del film di Sorrentino La grande bellezza candidato all’Oscar come miglior film straniero?
Non ho visto il film ma incontrando il regista ci siamo detti una cosa che non si dice normalmente: “Ciao, ci vediamo agli Oscar”!
La tua carriera ti vede protagonista di tantissimi film ma solo nell’ultimo periodo hai inanellato una serie di ruoli indovinati. E’ stata una scelta o una tua maturazione?
Credo che sia stata una combinazione di questi elementi. Mi ricordo di circa 4 anni fa, ero arrivato a un punto della mia carriera in cui ero soddisfatto ma sentivo che volevo andarmi a cercare qualcosa di più, ho quindi deciso di ricalibrare il rapporto con il mio lavoro. Avevo una vita eccitante, entusiasmante, era più “vita avventurosa” che “carriera avventurosa”. Ho cercato a quel punto di dare una scossa alla mia carriera. Ho esaminato varie sceneggiature ma quello che volevo era un ruolo che mi spaventasse , che mi facesse mancare la terra sotto ai piedi, ho detto di no a molte cose che mi venivano offerte, film d’azione, commedie d’azione, commedie romantiche. A un certo punto mi sono potuto permettere di fermarmi, avevo abbastanza soldi per vivere, nel frattempo mi è nato il mio primo figlio ed è stata un’esperienza straordinaria. Per circa un anno non mi è stato offerto quasi nulla, io rifiutavo e hanno smesso di offrirmi ruoli. A questo punto sono diventato una specie di “buona idea” potermi pensare in un altro ruolo per registi come Wiliam Friedkin e Steven Soderbergh , c’è stata una specie di “cancellazione del marchio”. Rebranding hanno commentato alcuni, piuttosto io penso si sia trattato di unbranding. Tra l’altro ho superato i 40 anni e questa è una cosa che succede a molti, si cominciano ad avere nuove idee e aspettative. Tanto più un uomo si sente sereno a casa sua, tanto più si vede pronto a volare quando ne è fuori.
Per questa tua nuova vita di attore qual è stato il ruolo cruciale, rivelatore delle tue possibilità? Ora come riparti, qual è il tuo futuro?
Credo sia stato un insieme di cose, non un ruolo specifico. Tra l’altro da quello che mi torna indietro, per quello che ho fatto negli ultimi anni rappresenta un cambiamento, probabilmente il primo ruolo in questa direzione è stato The Lincoln Lawyer, e a quel punto le persone si sono ricordate di A Time to Kill (Il momento di uccidere, 1996, ndr.) che ero bravo anche in quel film. Non si tratta di una risoluzione, una destinazione, fa parte di quello che faccio, mi piace metterci la testa e lavorare, mi piace di più la preparazione.
Hollywood ha mostrato da sempre grande passione per le trasformazioni fisiche soprattutto dei belli in brutti. Se non ti fossi trasformato, credi che saresti arrivato a questi risultati? Come vivi l’attesa per la notte degli Oscar?
I sacrifici fino ai quali si può spingere un essere umano non rappresentano necessariamente la misura della buona arte, il fatto che io abbia perso peso può aver rappresentato prima di vedere il film lo shock di vedere la mia immagine molto trasformata. Ma quando vai a vedere il film, il film non è quello in cui Matthew è magro, è il film su Ron Woodroof e tu segui quel personaggio, quella storia, ti perdi seguendo la storia, percepisci che è evidente che questa è storia vera di un uomo reale. Il film qualcosa te lo lascia, l’impatto te lo dà, indipendentemente che ti piaccia o no. E’ la storia che prende il sopravvento.
Per quello che riguarda l’Oscar non sono lì ad aspettare, mi sto godendo questo momento, questo giro del mondo, ma in realtà è il film che mi precede, è il film che va avanti, questo film parla da solo, non c’è bisogno che io lo promuova. E poi la cosa bella è che non sono soltanto io, c’è anche Jared Leto, il film stesso e la sceneggiatura che sono candidati.
La lotta contro le case farmaceutiche e le probabili cure alternative è un problema che ci riguarda tantissimo anche in Italia, che ricaduta ha avuto questo tema negli Stati Uniti? Cosa ne pensi tu delle cure alternative?
Nel 1986 l’HIV era una patologia che i medici non sapevano come curare, davano l’AZT alle persone perché non avevano altre cure. Peraltro la cura dell’HIV non era in cima alla lista delle priorità perché era qualcosa che importava poco. E’ stato Ron che ha fatto rumore, ha alzato la voce e quindi la FDA ha preso coscienza che c’era questo problema. Ron sapeva che c’erano medicine alternative che funzionavano e ha fatto capire che in alcuni casi potevano funzionare. Ma lui è andato in tribunale ma ha perso la sua crociata. Ha comunque sollevato un polverone e ha fatto si che la pratica per le cure dell’HIV abbia scalato le pile di altre pratiche.
Per quello che riguarda le cure alternative perché impedire a una persona di usufruirne? Certo, quando entrano altre cose in gioco non è facile, soprattutto quando si scontrano la medicina e il business. Le medicine alternative d’altronde per alcuni hanno funzionato, per altri no. Questo problema è molto sentito anche negli Stati Uniti, riguarda da vicino la riforma sanitaria di recente approvata da Obama. Questo è il bello di questo film, è un film che rimane attuale anche oggi, rimane attaccato alla pelle della gente.