IN TUTTA COLPA DI FREUD GENOVESE GIOCA ANCORA SU “IMMATURI” PERSONAGGI IN CERCA D’AMORE
DATA DI USCITA; 23 gennaio
DURATA: 120’
VOTO: 3 su 5
Non saprei indicare un bisogno infantile d’intensità pari al bisogno che i bambini hanno di essere protetti dal padre, scriveva Sigmund Freud. E se bambini si rimane sempre un po’, anche quando sarebbe il caso di smettere, il bisogno intenso di essere protetti dal proprio genitore resta intatto negli anni anche nel caso delle tre, particolari, figlie dell’analista Francesco (Marco Giallini) perno della nuova commedia corale di Paolo Genovese, Tutta colpa di Freud.
Sara (Anna Foglietta) è gay da una vita, ma l’ennesima delusione d’amore la spinge all’estremo tentativo di diventare etero, Marta (Vittoria Puccini) è una sognatrice che si innamora di un ladro di libri sordomuto (Vinicio Marchioni), Emma (Laura Adriani) ha diciott’anni e perde la testa per un cinquantenne affetto dalla Sindrome di Peter Pan (Alessandro Gassman) e sposato con la raffinata Claudia (Claudia Gerini): questa è la varia, e femminea, umanità che Genovese racconta e che fa girare attorno a Francesco, padre sempre presente romantico e tenero, ogni volta pronto a dare una spalla o far stendere una delle sue particolari ragazze sul suo lettino per aiutarle a vivere, nel bene e nel male delle loro fragilità.
Il file rouge che unisce i vari lavori del cineasta, dopo il divorzio consensuale artistico con Luca Miniero, è la totale incapacità dei suoi protagonisti di crescere e di trovare – per buona parte del lungometraggio – un senso alla propria vita, senso che poi coinciderà – quasi sempre – con la parola amore e con l’azione di amare.
Nonostante, anche in questo caso, i personaggi siano stereotipati e caricaturali (per niente realistici ed eccessivamente cinematografici) la capacità di Genovese (anche sceneggiatore) è quella di dare il giusto tempo di caratterizzazione a ogni co-protagonista dei suoi film dilungandosi quanto serve in descrizioni precise che in Tutta colpa di Freud si soffermano su molte delle possibili varianti dell’universo femminile e, anche se con meno enfasi, sulle conseguenze che alcuni atteggiamenti portano lì, dall’altra metà del cielo.
Pecca della pellicola (ma questo spesso accade) è l’uso di azioni e reazioni viste e riviste, senza mordente, che portano il lungometraggio a rinunciare al tentativo di innovare l’italica commedia che, come troppe volte capita, parte col giusto incipit e si perde poco dopo in situazioni di genere ben lontane da ogni forma di stupore che possa colpire lo spettatore ma che, per qualche strano meccanismo affettivo e consuetudinario, comunque risulta piacevole.
Tutta colpa di Freud, soprattutto grazie alla Roma che fa da sfondo alle vicende (immortalata nella sofisticata fotografia di Fabrizio Lucci) è comunque un lavoro cinematografico dignitoso, delicato anche nel finale che osa rimanere aperto per dare spazio alla riflessione.