Allacciate le cinture: recensione film

Eros e Thanatos, due pulsioni opposte che riportano alla vita. Questo racconta Allacciate le cinture, il nuovo film del regista italo-turcho Ferzan Ozpetek

allacciate_le_cinture_locandinaGENERE: drammatico

DATA USCITA: 6 marzo

DURATA: ‘110

VOTO: 3 su 5

Non importa quanto siano diversi. C’è lui e lei. Nessun’altro. Non importa il tempo che scorre, lo si legge nei volti e nelle labbra serrate, lo si legge negli occhi stanchi e le mani tremanti. Non importano i difetti, quelli che gli altri marcano e segnano sul corpo dei due, non importa nemmeno  il loro perdersi e le parole urlate addosso. Non importa il silenzio e la stanchezza degli anni. Sta tutto in quello sguardo, in quei corpi nudi che si cercano, ancora, ancora una volta, forse l’ultima. Sta nell’amore e in quello che nasconde, sta in quel sorriso che si riconosce tra tanti, in quel sorriso che ti appartiene, ti scalda, ti illumina gli occhi. E allora nessuna spiegazione, nessun prototipo, nessun legame che regga, nemmeno una precedente storia di due anni.

L’amore arriva e noi siamo lì che lo respiriamo, ci avvelena, ci morde l’anima ma ci salva sempre, anche davanti alla morte. Il nuovo film del regista Ferzan Ozpetek, Allacciate le cinture, racconta le turbolenze della vita e lo fa portando sullo schermo un dramma che parla d’amore, che ne svela i segreti con piccoli gesti quotidiani. Elena (Kasia Smutniak) si innamora perdutamente di Antonio (Francesco Arca), il suo opposto, il ragazzo sbagliato, il fidanzato della sua migliore amica. La passione arriva al primo sguardo e non basta nemmeno il tempo ad affievolirla. Dopo 13 anni l’amore resta e l’equilibrio sembra essere raggiunto dalla protagonista, due figli, un locale ben avviato, sogno perseguito a lungo con l’amico di sempre Fabio (Filippo Scicchitano), una famiglia e un marito che per quanto non giusto resta l’amore più forte. Ma la vita si sa è piena di turbolenze e per Elena e i suoi cari è il momento di riniziare, di scoprirsi nuovamente, di far fronte ad un nuovo pericolo.

La narrazione è interrotta dallo scorrere del tempo, quel tempo che spesso ritroviamo nei film del regista italo-turco, quel tempo che cambia ogni cosa, gli approcci, i volti. Il tempo tiranno che non aspetta nessuno e ci mostra allo specchio un nuovo io, quel tempo che lascia però  invariate e scolpisce le cose importanti. Allacciate le cinture con ironia e genuinità racconta la malattia, ne trapassa gli stadi con gli occhi lucidi e un sorrido amaro sulle labbra. Lo spettatore piange e ride in un moto continuo, si appassiona al dramma e ne sente il freddo sulla pelle. Lo scenario è quello di un grande amore, un amore però che forse non viene esplorato del tutto e questo lascia un vuoto all’interno della narrazione. I personaggi, inutile dirlo, sono costruiti e cuciti sugli attori, come un vestito perfetto. Persino Francesco Arca, attore acerbo, riesce ad essere ben inserito nel contesto. Eros e thanatos, due pulsioni opposte, due modi di combattere e  ritrovare se stessi. Allacciate le cinture sa di vita, di quella vera che più spesso vorremmo vedere raccontata al cinema.

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