DUE ICONE HORROR DELLA HOLLYWOOD ESPRESSIONISTA A LAVORARE INSIEME: BELA LUGOSI E BORIS KARLOFF
Ci sono alcune pietre miliari del genere horror che sono entrate nell’immaginario universale, anche grazie ai numerosissimi rifacimenti e alle divertenti parodie che hanno continuato a tramandarne la memoria di generazione in generazione. Il motivo per cui anche lo spettatore più restio nei confronti dell’orrore può apprezzare certi film è semplice e disarmante: non fanno paura. Non in maniera convenzionale almeno, e certo non ad una platea contemporanea. Questo dettaglio non impedisce però di apprezzarne il fascino intramontabile e riconoscerne il valore estetico.
Nel 1931 Tod Browning dirige Dracula, rendendo celebre l’attore di origini ungheresi Bela Lugosi, che sarebbe rimasto legato per tutta la vita al terribile vampiro. Nello stesso anno esce al cinema Frankenstein, diretto da James Whale e interpretato da Boris Karloff: un altro mostro destinato a entrare nella storia del cinema e a rendere immortale il suo interprete. Entrambi i film vengono prodotti dalla Universal Pictures, che si specializza nel genere e ne rivoluziona i canoni con grande successo.
La censura imposta dal Codice Hays costringe infatti i film del terrore degli anni Trenta a non mostrare mai esplicitamente atti di violenza e a inventare per forza nuove strategie per instillare la paura negli spettatori. Le atmosfere, cupe e suggestive, diventano importantissime, così come espedienti sino ad allora marginali: il trucco, che arriva a deformare le fisionomie, e il sapiente dosaggio di luci e ombre. L’avvento del sonoro poi permette di comporre musiche sempre più lunghe e inquietanti, aprendo nuove frontiere alla sperimentazione.
Il pubblico si affeziona facilmente a questo nuovo filone, soprattutto perchè rappresenta un perfetto diversivo dalla Depressione che ancora imperversa in quegli anni. La minaccia in quei primi film si presenta sempre di natura sovrannaturale e alla fine, quasi come a voler rassicurare gli spettatori che anche nella realtà tutto potrà concludersi per il meglio, il mostro viene sempre sconfitto.
Un film che racchiude la maggior parte dei luoghi comuni del nuovo genere e che può vantare la presenza di entrambi i “mostri sacri” è The Black Cat (1934), il primo di una serie di otto progetti che videro recitare insieme Bela Lugosi e Boris Karloff. Diretta dall’apprendista di Murnau, Edgar G. Ulmer, la pellicola risulta di straordinario impatto visivo, grazie ad una sapiente miscela di arte hollywoodiana e di espressionismo tedesco, accompagnata da un inquietante sottofondo musicale tra i primi ad essere composto per la durata dell’intera vicenda.
La storia inizia con un’adorabile coppia in luna di miele in Ungheria che ha la sfortuna di condividere il viaggio in treno con Vitus Werdegast, dottore in psichiatria (interpretato da Bela Lugosi). Per una sfortunata serie di coincidenze gli sposini si ritrovano costretti a seguirlo nel castello dell’architetto Hjalmar Poelzig (Boris Karloff), dove restano coinvolti nel regolamento di antichi rancori tra i due. In meno di un’ora il film mette in scena atti di necrofilia e ailurophobia, droghe, un gioco mortale di scacchi, sequenze di torture e scuoiamento, per concludersi con una messa nera completa di sacrificio umano. Senza tener conto del gatto nero, l’animale da compagnia e la fedele sentinella del mefistofelico padrone di casa.
Un piccolo gioiello irrazionale dove non compare una singola goccia di sangue, che non porta certo a coprirsi gli occhi per la paura, ma che resta scolpito nella memoria.