Berlinale 64 – In order of disappearance: recensione film

MELIN CON IN ORDER OF DISEAPPARENCE DIRIGE UN THRILLER SENZA RIUSCIRE PERO’ AD AMALGAMARE IRONIA E FEROCIA

La vendetta è una delle tematiche più amate del cinema e già eccellentemente sciovinate da cineasti tra i quali spicca il Re Quentin Tarantino con i suoi due volumi di Kill Bill. Ed è proprio la vendetta il movente che fa nascere il thriller norvegese di Hans Petter Moland che nel suo lungometraggio In order of disappearance ha voluto come protagonisti due stelle come Stellan Skarsgård e Bruno Ganz.

Nils guida uno spalaneve e conduce una vita tutto sommato tranquilla. La morte del figlio, però, lo spinge nel bel mezzo di una guerra di droga tra la mafia norvegese e una banda di criminali serbi. In quel mondo lui è un principiante, armato solo di fortuna e di un mezzo sufficientemente pesante.

Tra esterni mozzafiato per merito degli splendidi e incantati paesaggi innevati della Norvegia e interni dalle inquadrature che ricordano nostrane fiction, il cineasta dirige una storia cruda alla quale aggiunge ironia malgestita e in cui si salvano unicamente le belle interpretazioni dei due protagonisti.

Le schermate nere che segnano il passaggio tra una vittima e l’altra del ferito padre su cui compaiono in bianco le scritte del morto di turno con tanto di diverse simbologie a seconda della religione a cui i criminali appartengono rendono, forse anche volontariamente, ridicolo l’intero assetto della pellicola che comunque scade spesso e volentieri nel grottesco a causa dei dialoghi e di una recitazione palesemente svogliata di molti degli attori.

In order of disappearance sembra essere una scadente versione di Io vi troverò e la rabbia del genitore, moto perpetuo e fulcro di ogni azione del lungometraggio, non gioca come dovrebbe sull’introspezione del personaggio impedendo così una connessione tra il pubblico e il suo protagonista annientando qualsivoglia interesse per una storia che pecca di presunzione e che Moland non riesce bene a gestire come dovrebbe tra sarcasmo e disperata cattiveria.

Non c’è nulla di male nel tentativo di voler rendere ironico un film che alla base ha una storia thriller ma purtroppo il regista non è riuscito nel suo intento, pur avendo a disposizione due dei migliori interpreti del cinema della sua nazione. Una caduta di stile per un genere che in Norvegia, tra letteratura e cinema, è stato ed è di fondamentale importanza.

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