UNA NARRAZIONE SOTTOTONO E APATICA IN THE THIRD SIDE OF THE RIVER, IL DOCUMENTARIO PRODOTTO DA SCORSESE E PRESENTATO ALL’ULTIMO FESTIVAL DI BERLINO
The Third Side of the River (La tercera orilla), il documentario della regista argentina, Celina Murga, prodotto da Martin Scorsese, è intimo e rassegnato, a volte apatico e silenzioso. Il tono è basso, sottovoce, le emozioni fugaci e lasciate scivolare senza mai essere trattenute. La narrazione scorre lenta e condotta dalle espressioni del volto protagonisti.
L’opera racconta la storia di Nicolas e della sua famiglia. Al centro vi è il rapporto tra il diciassettenne e suo padre, un medico affermato e capace di stare con due piedi in una staffa. La sua è una doppia vita, due famiglie da mantenere, una legittima ed una clandestina, quattro figli da dover crescere ed accudire. Tra una madre da consolare, tra fratelli e fratellastri, Nicolas è costretto, in molte occasioni, ad essere l’uomo di casa. Accetta senza dire una parola la situazione, ma il suo stato di malessere e la poca stima nei confronti del padre emergono dalle sue espressioni. Il documentario è taciturno e lineare. Il dramma famigliare viene raccontato in modo piatto scegliendo di ripetere il quotidiano senza troppi scossoni. Solo all’ultimo il disegno è compiuto, Nicolas sceglierà quale strada percorrere cambiando sé stesso e la sua vita.
The Third Side of the River è fin troppo minimalista, lo stile basic e pulito porta ad un distacco con lo spettatore. Si vorrebbe essere più partecipi e coinvolti al dramma, ma sembra quasi ci sia un muro di freddezza impossibile da penetrare. Il documentario della regista argentina parte con ottime premesse ma purtroppo via via si vanno appiattendo, causa l’atarassia che per forze maggiori colpisce lo spettatore.