I SOLITI SISPETTI È LA CONSACRAZIONE CINEMATOGRAFICA DI KEVIN SPACEY, NARRATORE DI UN THRILLER SENZA ESCLUSIONE DI COLPI (DI SCENA)
Tutte le pellicole fino ad oggi riportate in questa rubrica sono grandissimi film divenuti Cult ma che, purtroppo, come spesso accade per le proiezioni destinate a diventare mito, sono state oggetto di critiche opposte e non sempre hanno avuto i favori dell’Accademy. Questa volta, invece, affronteremo un capolavoro del thriller, I soliti sospetti, diretto da Bryan Singer e scritto dall’amico sceneggiatore Christopher McQuarrie che proprio grazie a questo straordinario testo e all’eccelsa interpretazione di Kevin Spacey, hanno blasonato questa storia con due Oscar meritati, miglior sceneggiatura originale e miglior attore non protagonista.
Un misero truffatore invalido di nome Roger “Verbal” Kint (Kevin Spacey), viene messo sotto torchio dall’agente di polizia doganale David Kujan (Chazz Palminteri) in seguito all’esplosione di una nave, sospettata di trasportare droga, nel porto di Los Angeles. I fatti si riavvolgono e la storia viene narrata attraverso la voce e gli occhi di Kint che interrogato racconta di come lui e altri 4 pregiudicati si siano conosciuti durante un confronto all’americana a causa del furto di un camion di fucili a New York. I 5 dopo essere stati rilasciati per mancanza di prove, rapinano un trafficante di pietre preziose scortato da agenti corrotti. Il colpo riesce e una volta rivenduti tali pietre, vengono convinti dal ricettatore acquirente ad eseguire un nuovo colpo. Questa volta l’obiettivo è un commerciante di gioielli, ma a differenza del primo colpo, qualcosa va storto e i criminali sono costretti ad uccidere l’esercente che al posto dei diamanti aveva con se cocaina. Tornati dal ricettatore scoprono che dietro tutto questo c’è un certo avvocato Kobayashi (Pete Postlethwaite), stipendiato da Keyser Söze, un misterioso boss criminale, mai visto da nessuno, con un oscuro passato condito da storie leggendarie. Questi li implica in uno stratificato piano che culminerà proprio con l’assalto ad una nave carica di droga nel porto di Los Angeles.
Uscito al cinema nel 1995 questa meraviglia visiva è diventata l’araldo della cultura popolare, grazie a scene iconiche capaci di avere dialoghi di livello superiore degne del miglior genere giallo, in grado di rimanere moderno e indelebili nelle menti di molti. McQuerrie passa da sceneggiatore a vero metronomo di questa pellicola, dettando i giusti tempi, mentre la regia di Synger è quasi impalpabile, lasciando ampio spazio alla performance da Oscar di Spacey.
La trama si alterna attraverso una fitta ragnatela di eventi, raccontati tramite il bizzarro personaggio di Klint, detto appunto Verbal per la sua eccessiva loquacità, che per ironia della sorte – o per altro – si trova a dover affrontare un ultimo interrogatorio. Grandi attori, fra i quali Gabriel Byrne o Benicio Del Toro, si equivalgono magistralmente interfacciandosi fra di loro come nelle migliori opere teatrali. Tutti uniti nell’esasperante ricerca di sapere chi sia Keyser Söze, non resta che scoprirlo ascoltando con piacere il passaggio finale, con tanto di citazione annessa del poeta francese Charles Baudelaire.
Questo film è stato, ed è tutt’ora, donatore di spunti cinematografici presi in prestito da più registi che hanno omaggiato le scene più impressive della pellicola in storie di ogni genere, focalizzandosi in modo particolare proprio sull’atto conclusivo amato da molti.
Chi lo ha già visto, con piacere lo rivedrebbe anche mille volte, ma le emozioni che si provano nello scoprirlo per la prima volta sono irripetibili, la suspense è ben oleata negli ingranaggi della trama che si districa lentamente, lasciando lo spettatore interdetto, curioso e affascinato da questo gioco di ombre.