FILTH, LA RECENSIONE IN ANTEPRIMA DEL FILM TRATTO DALL’OMONIMO ROMANZO CULT
DURATA: 97′
VOTO: 4 su 5
“Stamattina mi sono svegliato. Mi son svegliato già dentro al lavoro. Il lavoro. Ti ha in pugno. È tutto intorno a te, come una gelatina permanente che ti circonda, ti assorbe. E quando ci sei dentro, guardi la vita attraverso una lente deformante”. Mai parole furono più significative. Il lavoro è vita, senza lavoro noi non esistiamo. Il lavoro ci fornisce la possibilità di essere persone dignitose, che trovano un posto nel mondo e possono costruirsi un futuro. Il lavoro è denaro, mai come in questo momento ci si accorge della sua importanza, visto il drammatico alto tasso di suicidi in seguito all’attuale crisi economica. Il lavoro è tempo, quegli attimi di vita che nessuno ci darà mai indietro e che investiamo nella proiezione di un benessere venturo. Il lavoro è sicurezza, è il pane che possiamo mangiare tutti i giorni. D’altro canto però è anche stress, concorrenza professionale, concentrazione, continuità, studio. Il ritmo non va mai abbassato, e se un passo del nostro cammino viene fatto nella direzione sbagliata, potrebbe essere la mossa fatale di un circolo vizioso ma quanto mai importante.
Filth, la seconda prova alla regia per il cineasta Jon S. Baird, è la storia di Robbo (James McAvoy), un poliziotto scozzese che viene messo a capo di un’indagine sulla morte del figlio dell’ambasciatore del Ghana. Caso di vitale importanza, perchè in gioco c’è una promozione da ispettore. Comincia così la sua personale corsa alla vittoria, vedendo se stesso come il migliore di tutti circondato da persone senza scrupoli che per avere quel ruolo farebbero di tutto. La competizione però pian piano rivela la sua natura da carnefice e non da vittima, che lo porterà ad incarnare il male assoluto e a rivelarsi come un’anima deviata, abusando con violenza della sua divisa.
Tratto dall’omonimo romanzo cult di Irvine Welsh, Filth (Il Lercio), la trasposizione cinematografica omaggia la brutalità del personaggio e l’essenza della cattiveria umana in tutta la sua spietata forza malvagia, regalando un personaggio sadicamente chiacchierone che anche nel mondo del cinema si può considerare cult. Al pari dei precedenti adattamenti di Welsh, possiamo considerare anche questo film come riuscito e potevamo immaginare di applaudire a fine visione anche per il fatto che lo scrittore compare in veste di produttore esecutivo. Una sorta di supervisore del lato oscuro.
James McAvoy si immedesima completamente nelle vesti di questa figura disonesta e immorale, regalandoci un anti-eroe che si mette completamente a nudo, analizzato sin nell’angolo più buio e polveroso della sua mente malata. Un personaggio perverso che scruta la realtà per poi distorcerla. Non si può amarlo, nè empatizzare con lui: è razzista, sessista, omofobo, dedito ad ogni sorta di vizio sregolato, rovina la vita anche all’unico amico vero che ha. Seppure sia il male della società in persona, si finisce a fare il tifo per lui, affinché il verme solitario che abita nel suo corpo – mostrandoci a seconda delle situazioni il Dottor Jekyll o Mr. Hyde – muoia e iniziare un processo di purificazione del suo essere.
Filth è l’eccesso dell’eccesso nella sua caoticità sovversiva, esattamente come il libro. Esattamente come speravamo.