Il Pretore: recensione film

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GIULIO BASE PORTA SUL GRANDE SCHERMO L’OPERA DI PIERO CHIARA IL PRETORE DI CUVIO

IL-PRETORE-locandinaGENERE: commedia

DATA DI USCITA: 3 aprile

DURATA: 105′

VOTO: 2,5

Piero Chiara è stato lo scrittore che immortalò nei suoi romanzi la provincia del varesotto, i vizi e le virtù della varia umanità dei quei luoghi. Sceneggiatore di film come La stanza del vescovo e Il piatto piange tra le sue opere spicca anche Il pretore di Cuvio, romanzo breve che il cineasta Giulio Base ha deciso di prendere in prendere in prestito per il suo ultimo lavoro Il Pretore.

Augusto Vanghetta è pretore in un piccolo paese del Lago Maggiore, sposato con Evelina, ragazza molto più giovane di lui, l’uomo è da tempo lontano dalla donna e vicino a qualunque altra donzella che sfiora il suo fianco e, mentre la moglie si priva di cibo e amore in un misto di autocommiserazione e autolesionismo, Vanghetta noncurante si preoccupa solo delle sue velleità artistiche improvvisandosi boccaccesco commediografo. Le cose cambiano quando il giovane avvocato Mario Landriani entra nelle grazie di Augusto che lo mette a guardia della moglie certo che sia omosessuale…

La forza della trasposizione di Base si racchiude tutta quanta in un’ottima ricostruzione storica degli anni 30′ che, attraverso anche la fotografia e la luce, sembra davvero avere intenzione di trasportare lo spettatore nell’immaginario di Chiara. A tutto questo vanno aggiunte sorprendenti peripezie registiche del cineasta che, oltre che in qualche per piano sequenza, si cimenta anche in inquadrature puramente estetiche ma sempre funzionali al contesto.

Questo buon lavoro tecnico è però buttato giù da una ricostruzione dei personaggi troppo eccessiva nella loro contrapposizione: da una parte l’Augusto Vanghetta interpretato da Francesco Pannofino vive di torni urlati in una recitazione che richiama alla macchietta, dall’altra i silenzi di Sarah Maestri – anche produttrice del lungometraggio – non riescono a dare il giusto spessore a quell’Evelina succube del non amore eppure, a suo modo, vincente.

La questione delle trasposizioni e di quanto la versione cinematografica di un libro debba essere, o meno, fedele al romanzo è annosa, altrettanto noiosa, e ridondante ma è pur vero che se si porta sul grande schermo quella che dovrebbe essere una malinconica e profonda parabola sul fascino del potere e dei piaceri della carne trasformandola in una commediola dai toni isterici qualcosa di sbagliato c’è.

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